Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
Se l’ergastolo è il carcere a vita, quello bianco è ancor peggio. Si tratta infatti di internati, cioè i reclusi che, scontata la pena, sono tenuti ancora dietro le sbarre perché considerati pericolosi. È un retaggio di archeologia giudiziaria oltre che una violazione della Costituzione. [MORE]
Gli internati sono costretti a vivere dietro le sbarre a tempo indeterminato, senza un fine pena perché la loro l’hanno già scontata. In teoria dovrebbero avere un lavoro, in realtà passano il tempo oziando in celle sovraffollate, con i letti a castello impilati l’uno sull’altro che arrivano a sfiorare il soffitto.
È la pena aggiuntiva per persone giudicate socialmente pericolose, recidive. Sulla carta esiste una differenza tra chi deve ancora scontare la pena, i detenuti, e chi ha pagato il proprio debito con la giustizia, gli internati. Nella amara realtà delle carceri italiane con pochi agenti di custodia e sovraffollate all’inverosimile, la situazione è ben diversa e le sbarre delle celle sono uguali per tutti, internati e detenuti.
Infatti gli internati dovrebbero essere ospitati in case di lavoro che si trasformano in carceri vere e proprie dalle quali non si potrebbe più uscire. altro rischio: la misura di sicurezza può essere prorogata senza alcun limite per cui si rischia che la misura di sicurezza possa essere più lunga delle detenzione.
È quanto denuncia Laura Longo, presidente del tribunale di sorveglianza dell’Aquila, che dopo l’annesimo suicidio in carcere, ha scritto una lettere di denuncia al ministero della Giustizia.
Il problema è che gli aggiornamenti sulla effettiva pericolosità degli internati non si fanno e i giudici non hanno elementi per confermarne o meno tale pericolo.
Altro aspetto sono le case di lavoro, istituite nel 1930 con il codice Rocco, tuttora in vigore. In queste strutture dovrebbero operare cooperative sociali per il reinserimento nella società degli ex detenuti, ma al momento non risulta nessuna cooperativa o azienda esterna che dia del lavoro da svolgere agli internati. Solo l’amministrazione penitenziaria ha del lavoro da svolgere, ma paga poco, massimo duecento euro al mese, dal momento che i tagli alla spesa pubblica coinvolgono anche gli istituti di pena.
Il risultato finale è che i detenuti e gli internati lavorano poco e male e per farli lavorare tutti, si lavora a rotazione.
Un sistema anticostituzionale, in termini cronologici e morali.
Giovanni Dimita