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"Killer Joe" di William Friedkin, un noir che si chiama desiderio

NAPOLI, 3 NOVEMBRE 2012 - 77 anni e non sentirli. Oppure, se preferite un approccio meno anagrafico e più cabalistico, 77 come “i diavoli” secondo la smorfia napoletana. E William Friedkin è un diavolo di regista, più che un evergreen, un marcio ever-noir. Esponente della New Hollywood negli anni ’70, ha fatto scuola in diversi generi, come nell’horror con L’esorcista, nel poliziesco a tinte noir con Il braccio violento della legge, arrivando anche a reinventare l’action movie con Vivere e morire a Los Angeles. Ciò che stupisce di questo autore è la capacità di conservare una cifra stilistica virile, ma non troppo seriosa; e soprattutto di aggiornarla con un caleidoscopio d’influssi che spaziano dal dark humour dei fratelli Coen, alla violenza da marmellata di Tarantino. Così, un film come Killer Joe, presentato al Festival di Venezia del 2011 e successivamente alla 36esima edizione del Toronto Film Festival, e di recente approdato nelle nostre sale (11 ottobre), associa umorismo e splatter, una spettacolosa vena sadica a reminiscenze che spaziano dall’autocitazione (Bug), al noir classico misuratamente dissacrato (La fiamma del peccato, di Billy Wilder).

Il canovaccio dell’omicidio per incassare i soldi dell’assicurazione è fin troppo noto, dallo stesso film di Wilder, agli agili pulp letterari di James Hadley Chase, fino a U-turn di Oliver Stone. I cospiratori, in questo caso, sono i membri di una scalcinata famiglia: Chris (Emile Hirsch), giovane spacciatore di droga con pesanti debiti di gioco, ideatore della macchinazione delittuosa; il padre, Hansel (Thomas Haden Church), genitore lercio e divorziato, con poca grana ed ancor meno spina dorsale; la concubina di quest’ultimo, Sharla (Gina Gershon), furba e voluttuosa, e l’ingenua figlia di lei, Dottie (Juno Temple, perfetta Lolita). L’esecutore è Joe Cooper, detto Killer Joe (Matthew McConaughey), poliziotto hard boiled che si guadagna da vivere come sicario. E soprattutto, che riscuote in anticipo. In questo caso, la caparra della famiglia squattrinata è Dottie. Killer Joe porta a termine il compito di ammazzare la madre, ma qualcosa non funziona con l’assicurazione. E si scatena il far west intorno alla “caparra”.

Insospettabile, ma dietro la sceneggiatura adattata da Tracy Letts dalla propria piéce teatrale, in filigrana pare addirittura di poter scorgere Un tram chiamato desiderio, e in McConaughey, attraverso il recente filtro erotizzante del Magic Mike di Soderbergh (curioso, anche qui un nickname in due parole), uno stallone scomodo e dominante. Cecchino di sottane, Killer Joe esegue con sprezzatura l’omicidio, e con altrettanta trascuratezza Friedkin sorvola sull’atto criminoso, limitandosi a mostrare la carbonizzazione del corpo. In effetti, il film essuda l’odore della carne, come aspirato da narici libidinose. Joe Cooper, con i corpi delle donne, compie rituali: quello del fuoco con l’assassinata, quello dionisiaco della deflorazione con Dottie – a cui, invece, il regista dedica un ampio preliminare – ma soprattutto quello che ha impressionato alla mostra di Venezia: la pseudo-fellatio ad una coscia di pollo a cui il sicario costringe Sharla, davanti ad Hansel, come a prendere possesso di un territorio attraverso la propria affermazione di maschio alfa. È durante questo finto amplesso che Killer Joe detta a patrigno e madre le indicazioni per la mezzanotte di fuoco con Chris, per regolare i conti sul “possesso” di Dottie. [MORE]

Ne vien fuori un’ironica versione noir di Cenerentola – un’indicazione dello stesso Friedkin – in cui il principe si è trasformato in tiranno dell’harem. Anche nel precedente Bug, storia di un ex soldato paranoico che trascina una divorziata in un vortice di follia, si era osservato lo stesso infiltrarsi di un maschio in un ambiente domestico fino a farlo implodere, certe claustrofobie a lume di candela, l’evidente squilibrio che si fa putridume morale. Da un lato, lo spirito da dark comedy corrode fino alle viscere l’inconsistenza etica di certa provincia americana, dove si scommette d’azzardo, si uccide, si divorzia, si tradisce, si mercificano pulzelle; dall’altro, il medesimo esprit al vetriolo sembra sgretolare la stessa struttura interna del film, che un po’ come in Fargo dei Coen sembra ricavare da una contesa tra maschi una sorta di iconizzazione idolatra della donna, quella Dottie che da oggetto hottie diventa ago della bilancia, possibile punto di partenza di un nuovo equilibrio. A fronte dell’eros distruttore dei maschi, inetti o troppo violenti, la sua imperturbata sessualità è un modello erotico rifondante, quasi una trasposizione sessuale di un ordine morale.

Con Killer Joe, William Friedkin raggiunge un maturo equilibrio di violenza ed ironia, di amore (eros) ed amoralità, di noir e di grigiore provinciale, rimeditando prima di tutto la propria personale esperienza, ma con intelligente e dosata apertura mentale ad altri modelli (Stone, Coen, Tarantino). Non sarà più tanto new, ma è dannatamente Hollywood.

Titolo originale: id.
Regia: William Friedkin
Interpreti: Emile Hirsch, Matthew McConaughey, Juno Temple, Thomas Hayden Church, Gina Gershon
Distribuzione: Bolero Film
Durata: 103'
Origine: USA, 2011

(in foto: una scena del film, con Matthew McConaughey e Juno Temple)


Antonio Maiorino