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Kali Yuga e la sua metafora apocalittica: intervista ad Eva Milan

VITERBO, 02 GIUGNO 2015 – Nell'intervista di oggi ci occupiamo di album autoprodotto di un'artista molto particolare: Kali Yuga di Eva Milan si scopre subito tagliente e coinvolgente nella sua atmosfera cupa e nel suo incedere lento e pesante. Eva Milan ha suonato quasi tutti gli strumenti e scritto i testi che raccontano di un mondo contemporaneo in declino in cui lei, da lungo tempo anche attivista, non si riconosce. Kali Yuga, inoltre, ha visto la partecipazione di molti altri artisti che hanno arricchito e completato con il loro contributo questo lavoro. L'album è stato successivamente prodotto da Seahorse Recording, è distribuito da Audioglobe ed è promosso da Lunatik.
Buona lettura!

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Chi è Eva Milan? Parlaci della tua storia e della tua carriera.
Nessuna carriera, ma percorsi... Sono figlia degli anni '60 e nipote di un partigiano comunista. Figlia di Gingsberg, Kerouac e Huxley, dei Doors, David Bowie e degli Who, cuginetta di Ian Curtis, sorella dei Fugazi e dei Sonic Youth...
Musicalmente ho iniziato negli anni '80, anche se ho avuto la mia prima vera band agli inizi degli anni '90, i Nemesis, e poi alla fine dello stesso decennio, gli Stoika, entrambe band di estrazione post-punk, la seconda più sperimentale, con cui ho iniziato a cantare in italiano. Poi negli anni 2000 ho scritto e composto per molto tempo da sola, dedicandomi di più alla mia attività di controinformazione e attivismo; ho pubblicato un album solista “fatto in casa” nel 2007, “Fuori Dal Mondo”, e poi l’EP “Totem" con la band nel 2009... tra il 2007 e il 2011 ho ricominciato a suonare live dopo molto tempo.

Perché hai scritto, suonato e prodotto Kali Yuga praticamente da sola?
Perché ero effettivamente da sola, lontana dal resto del mondo, costretta a starci per malattia ma anche bisognosa di concentrarmi nella musica lontana da influenze esterne. Principalmente avevo bisogno di reagire a un certo tipo di prigionia, altrimenti difficile da condividere, esprimendo un percorso personale determinato soprattutto da due esperienze, una condizione esistenziale data da una lunga malattia invalidante, e la visione del mondo contemporaneo maturata partecipando alla storia dei movimenti no global e dell’informazione antagonista degli ultimi 15 anni.

Quanto hanno influito le svariate collaborazioni nel risultato finale?
Ognuno dei miei ospiti ha collaborato con il suo bagaglio artistico e impronta personale, in totale sintonia e partecipazione artistica, filosofica e umana, aggiungendo un grande valore a ciò che era il mio progetto iniziale. Perché alla fine penso che anche nella situazione più indipendente e solitaria si può sentire il bisogno di condivisione. Anche questo è un concetto che ci tenevo ad esprimere nell’album, che da soli, per quanto forti, non si può dire tutto e non si possono costruire mondi veramente liberi e “umani”.
Marco Mattei, che è chitarrista e anche songwriter nel suo progetto solista, è un compagno di strada di lunga data. Abbiamo una grande sintonia musicale e umana, ed entrambi siamo giunti alla conclusione che l’amicizia nella musica è un aspetto prioritario. La sua chitarra a volte tagliente, a volte psichedelica, ma sempre passionale, ormai fa parte del mio immaginario sonoro e compositivo. Marco Rovelli, anche lui amico fraterno di vecchia data e compagno di battaglie libertarie, è per me oggi il simbolo dell’arte e della poesia militante, e ho scritto la parte di testo che lui recita in “Mondo Bipolare” pensando proprio alla sua voce. Stessa cosa è accaduta anche con Francesco di Hyaena Reading, compagno di strade verso “altrovi” musicali ed esistenziali, la cui personalità era ciò che ho immaginato per il brano “Hell Care Trade”, di cui abbiamo scritto il testo insieme, un testo che parla dell’“universo distante” dei malati, e di un sistema e di relazioni sociali che spesso costruiscono muri e prigioni... un testo in cui Francesco con la sua grandezza artistica e umana, è riuscito a calarsi pur non conoscendone in prima persona tutte le problematiche. E poi Samuele che è stato proprio il primo a condividere con grande entusiasmo l’idea dell’album sin dall’inizio, e l’amica Paola Pavese che ha prestato le sue opere per la grafica, sono grata a tutti loro.

Cosa ti ha ispirato nella scrittura di questo album e cosa vuoi trasmettere all'ascoltatore?
Molte cose... mi ha ispirato la mia malattia ma anche che la mia condizione procedeva in parallelo con quello che io ho visto negli anni fallire e sgretolarsi nel mondo, cioé le fondamenta della civiltà occidentale dal dopoguerra, con le sue lotte per i diritti e le sue aspettative sul futuro dell’umanità. Un decadimento di valori universali acquisiti, oscurati da una lenta erosione delle coscienze e dalla sedimentazione profonda di narrazioni distorte, di frammentazioni sociali e privazione degli strumenti di difesa contro una ”crisi” imposta su vari livelli, umana, economica e sociale, che rende tutti prigionieri e inconsapevoli complici dei poteri violenti che gestiscono il controllo sul nostro destino. Però ho voluto anche esprimere che l’unica via d’uscita, l’unica salvezza, sta nel coraggio dei liberi, di chi seguendo il proprio percorso resiste, accogliendo gli altri o rendendosi partecipi e solidali, immaginando nuovi mondi, noncuranti di quei poteri. Due esempi di questo coraggio per me sono stati Vittorio Arrigoni e Tiziano Terzani. Ho la fortuna di conoscerne personalmente anche altri, alcuni dei quali hanno partecipato all’album :-)

A tuo parere qual è il peso della musica "impegnata" in questo momento storico?
La musica e tutta l’arte per me non può esistere senza essere “impegnata”, cioé senza prendere posizione. Perché l’arte, nel bene e nel male, è figlia del proprio tempo, che ne sia il prodotto, o la testimonianza, o strumento del pensiero critico e immaginario di nuove strade. In questo momento storico è poi fondamentale che tutta l’arte si liberi dai vincoli pesanti di un sistema di mercato sempre più escludente, fondato sui privilegi e sull’accettazione di percorsi precostituiti, un sistema che tende a ridurla ad obbediente prodotto di mercato, anziché tutte le altre cose che ho elencato che per me definiscono cosa è l’arte e quindi anche la musica.

Sempre secondo te, qual è la condizione generale della musica italiana?
E’ uno tsunami che rispecchia ciò che accade in tutto il resto del mondo, e non parlo solo della musica, ma proprio della situazione geopolitica. La scena cosiddetta “indipendente” si è per lungo tempo adagiata sui cliché di un mercato che ha rotto il suo “patto sociale” anche nell’arte, un mercato che ha continuato a reggersi in piedi sull’eredità del passato, cioé degli anni ‘90, a scapito della qualità e della creatività. Da questa situazione è montato lo tsunami. Ci sono moltissime band e cantautori, su un livello medio-alto rispetto al mercato, i migliori secondo me lontani da esso, o per scelta o paradossalmente per averlo perseguito. Il problema poi è che non ci sono più le competenze e il sostegno di una volta che erano in grado di valorizzare la particolarità, il carattere e il percorso inequivocabile di un artista o band. Allora, fino agli anni '90, c’erano molte meno strade e possibilità di essere visibili, ma i Marlene Kuntz, i Verdena, i Massimo Volume e altri sono usciti, ce ne erano le condizioni, e sono percorsi che restano nel tempo. Oggi si è tutti visibili, ma è una visibilità fittizia, evanescente, spesso priva di reali contenuti e innovazioni, tutto si fonda su visibilità e promozione, ed è più difficile individuare talenti che restino nel tempo, e per chi potrebbe distinguersi è più difficile trovare quel tipo di sostegno.

Quali altri album usciti nel 2015 ti hanno colpito?
“Notturno Americano” di Emidio Clementi, e “Tutto inizia sempre” di Marco Rovelli. E poi mi piace molto il lavoro dei Back to Mercurio, un duo post-rock sperimentale di due componenti degli Aldrin.

Che progetti hai per il prossimo futuro?
Vorrei tornare a suonare dal vivo con la band che ho appena riformato, con il mio chitarrista storico Marco Mattei, con un nuovo magnifico “acquisto” al basso, Vincenzo Donato, e un grande batterista, Fausto Casara. Ma anche la situazione live è segnata da molte “recinzioni”.

Siamo giunti ai saluti! Consigli ai lettori di GrooveOn tre dischi – o più – che per te sono fondamentali?
“Scary Monsters" di Bowie, ”In on the Kill Taker” dei Fugazi, “Badmotorfinger” dei Soundgarden, “Dirty” dei Sonic Youth, ”Night Song” di Michael Brook con Nusrat Fateh Ali Khann, “White Chalk” di PJ Harvey, “The Seer” degli Swans... “Aspettando i Barbari” dei Massimo Volume... ce ne sono troppi! :-)) 

 

 

Federico Laratta
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