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Jia Zhangke con Zhao Tao alla Festa del Cinema di Roma: "Il mio cinema nella Cina che cambia"
Quando Jia Zhangke – anche lui – confessa che Ladri di biciclette è stato di fondamentale ispirazione per il proprio percorso artistico, realizzi che sì, la Cina è davvero vicina, qui, al Teatro Studio “Gianni Borgogna”, nel penultimo giorno della Festa del Cinema di Roma – 14esima edizione (17-27 ottobre). Da quel film il regista cinese, autore di punta della “sesta generazione” del cinema del Sol Levante, spiega di aver tratto impulso per perseguire il proprio progetto di un cinema attento alle situazioni di vita quotidiana, un cinema della realtà che nella Cina tutta “Stato e propaganda” in cui si era formato, doveva sapere davvero di rivoluzione. Se a quel film Jia deve molto – così come, spiega, ad un film indiano su un ladruncolo – altrettanto gravido di conseguenze sarebbe stato l’incontro con la ballerina Zhao Tao, poi sua attrice, compagna e musa, co-protagonista di questo incontro moderato da Richard Peña e Giovanna Fulvi (Comitato di Selezione della Festa del Cinema). A differenza di alcuni dei suoi film, che per diretta ammissione dello stesso regista durante la discussione, lasciano cose “non dette”, Jia replica senza risparmiarsi alle domande, alternandosi con Zhao Tao, con clip varie dei suoi film a far capolino sullo schermo del Teatro Studio. Tra queste, anche una scena da Still life, che gli valse il Leone d’Oro a Venezia, e da A touch of sin, premio per la migliore sceneggiatura a Cannes. Le risposte di Jia Zanghke e di Zhao Tao si costituiscono come un racconto intrecciato, in cui ogni filo corrisponde ad un differente paragrafo di vita artistica e personale, ma anche di una Cina in progress. Tessiamo la trama dell’incontro trascrivendo pressoché integralmente gli interventi del regista e dell’attrice.
GLI ESORDI: IL CINEMA INDIPENDENTE IN CINA
JIA ZANGHKE: “Nel 1993 riuscii ad entrare nell’Accademia del Cinema di Pechino, ma mi resi conto che realizzare i film che volevo girare era piuttosto complicato perché in quell’epoca in Cina c’erano solo 16 studi cinematografici: erano tutti di gestioni pubblica ed era difficile pensare che fosse permesso girare un film che, ad esempio, raccontasse la storia di un ladruncolo (come avrebbe fatto nel film Xiao Wu; n.d.R.). Così, nel 1997, dopo essermi diplomato all’Accademia, insieme ad altri registi giovani cinesi creammo un nuovo metodo di fare film: fu la nascita cinema indipendente. Trovammo i nostri metodi per esprimere le nostre idee.
Per partire dal principio, nel 1998 girai il mio primo film, Xiao Wu. Subito dopo iniziai a lavorare al secondo, Platform. Questo film racconta la storia di una compagnia teatrale che inizialmente è nazionale, quindi controllata dallo Stato, con spettacoli che diffondono le politiche statali; poi all’inizio degli anni 80, col periodo di riforme e apertura, anche questa compagnia teatrale viene privatizzata ed inizia a fare degli spettacoli più liberi sotto il profilo espressivo. Questa è la trama del film. Per poterlo girare mi serviva
un’attrice protagonista che sapesse parlare il dialetto dello Shanxi, la regione da cui provengo, perché volevo girare il mio film lì. Inoltre doveva avere l’aspetto tipico delle ragazze degli anni ottanta e doveva saper ballare perché la protagonista era una ballerina.
Trovai Zhao Tao e iniziammo a lavorare assieme. Pensai che sarebbe stata una cooperazione singola e che non l’avrei più rivista. All’inizio avevo scritto una sceneggiatura di cui ero soddisfatto, ma poi mi resi conto che non mi piaceva e iniziai a ripensarci. Chiesi agli attori di recitare le scene in modo spontaneo e finii addirittura per buttar via la sceneggiatura! Mi accorsi che Zhao Tao era bravissima nell’adattarsi a questo mio stile di regia che era molto basato sull’improvvisazione ed addirittura lei stessa mi portava spunti o mi dava ispirazione nelle sue azioni quotidiane. Mi bastava darle a mia volta un piccolo spunto perché riuscisse a creare delle scene molto belle, come quando le chiesi di fumare insieme ad un’amica chiacchierando di qualcosa a piacere.
Zhao, tra l’altro, è un’osservatrice molto attenta di quello che le accade intorno. Una volta arrivando mi disse che mentre camminava aveva visto un ladruncolo che era stato preso dalle forze dell’ordine e, come avveniva nella Cina degli anni ’80, questi era stato mostrato al pubblico come monito, per far sapere a tutti che aveva sbagliato. Mi diede molti altri spunti simili a questi. Per me è fondamentale non solo lavorare con bravi attori, ma anche attori disponibili ad adattarsi alla spontaneità e all’improvvisazione. Questo non vale solo per Zhao Tao, ma anche per i cameramen, che da tanti anni lavorano con me perché riescono a sostenere questo stile di regia e la mia creatività”.
ZHAO TAO, ATTRICE PER CASO
ZHAO TAO: “Dai tempi di Platform mi sembra che sia passato davvero tanto. Allora ero un’insegnante di danza e Jia Zhangke venne in accademia in cerca di un’attrice per un suo film, per cui io gli mostrai i miei studenti e i miei allievi. Alla fine, invece, lui venne da me e mi disse: “Io voglio lavorare con te!”. Io gli risposi che non avevo mai fatto cinema e non sapevo cosa volesse dire fare l’attrice. Lui mi disse di provare, ma non avevo idea di cosa mi aspettasse. Fu un incontro veramente fortuito e allora io avevo tra l’altro fatto una tournée di danza da poco, ero stata in Italia per poco più di un mese… ma non chiedetemi dove fossi stata, non me lo ricordo!
Mentre poco fa Jia Zhangke raccontava della scena della sigaretta in cui parlo con una mia amica, mi sono tornati in mente i dettagli della scena. Lui ci disse soltanto di metterci lì a fumare una sigaretta e d’iniziare a chiacchierare mentre fumavamo. Io sapevo bene che in quel periodo giravamo i film usando le pellicole e quindi era molto costoso. Io e la collega avevamo una bella pressione addosso perché dovevamo far bene per evitare di rigirare la stessa scena. Al regista non interessava di cosa parlassimo, bensì di riempire il tempo. Iniziammo a chiacchierare tra noi, ed arrivati ad un punto in cui non sapevamo più cosa dirci, il regista ancora non ci fermava, continuava a girare. Finita la pellicola, andava avanti. Passarono dieci minuti, poi ci fermò e ci disse che andava bene… era andata!”
DILETTANTI ALLO SBARAGLIO: GLI ATTORI NON PROFESSIONISTI
JIA ZHANGKE: “Ho iniziato a lavorare con attori non professionisti per molte ragioni. La prima ragione è che volevo che gli attori nei miei film recitassero in dialetto. La Cina è un paese grandissimo con tanti dialetti e lingue diverse da regione a regione. Sugli schermi cinematografici cinesi tutti i film erano solo in mandarino e non era possibile girare dei film nei dialetti locali perché c’era la volontà del governo centrale di promuovere l’uso della lingua ufficiale. Io invece volevo che si usassero i dialetti, che in Cina sono molto particolari perché hanno sfumature diverse non solo da provincia a provincia, ma anche da città a città. Per esempio io vengo da Fenyang, dove si parla un dialetto specifico. Se volevo trovare delle persone che parlassero quel dialetto, potevo trovarle solo lì: dovevo quindi cercare dei non professionisti.
La seconda ragione è che gli attori professionisti per diventare tali fanno una lunga formazione. Imparano a modulare il tono di voce, a camminare con un certo ritmo, e tutto questo è molto poco naturale e vicino alla vita naturale, io invece volevo che nei miei film ci fosse la naturalezza della realtà. Potevo farlo solo con gli attori non professionisti, che nella loro spontaneità hanno una complessità molto profonda. Per esempio, nella scena di Xiao Wu che abbiamo visto (in cui un amico del ladruncolo Xiao Wu si sposa ma non lo invita al matrimonio e i due litigano, n.d.R.), se ci fosse stato da un attore professionista, avrebbe cercato sempre di apparire bello e curato, mentre quel personaggio richiedeva una certa trascuratezza, ed infatti l’attore in alcune scene siede non dritto, come abbandonato sulla sedia.
La terza ragione per cui ho deciso di lavorare con attori non professionisti è che quando ho iniziato a lavorare nel cinema da poco in Cina era iniziata la politica delle riforme. Le persone a quel tempo non si spostavano molto, restavano più o meno nello stesso posto. Se volevo girare un film nella Shanxi, nella mia provincia con attori che sembrassero dello Shanxi, potevo solo prendere persone che erano davvero vissute lì. Attori professionisti sarebbero sembrati dei turisti, completamente fuori posto in quel contesto, mentre io volevo che sembrassero appartenervi. Le cose sono poi leggermente cambiate in Cina. Nei miei ultimi due film, A touch of sin e I figli del fiume giallo, la situazione è cambiata, ed ho unito professionisti e non professionisti perché adesso le persone si muovono di più e si spostano da una provincia all’altra. Così Zhao Tao nel film I figli del fiume giallo parla un po’ il dialetto dello Shanxi, un po’ il mandarino”.
“Gli attori non professionisti mi aiutano molto a migliorare le mie sceneggiature. A volte gli sottopongo una scena, loro iniziano a recitare e non ci si ritrovano. Questo vuol dire che quella scena non l’ho scritta bene, non è abbastanza realistica: per questo non riescono ad immedesimarsi. Se scrivo delle scene che funzionano, riescono ad interpretarle, mentre se vedo una difficoltà da parte loro, sono io a cambiare la sceneggiatura.
Quello che succede è che devo controllare tutti i movimenti della camera e che la camera mai sia percepita come un’intromissione o un peso: non voglio dargli un fardello, non sono loro a dover seguire la camera, bensì la camera a seguire loro”.
COLLEGHI E SODALI: TAKESHI KITANO E HOU HSIAO-HSIEN
JIA ZHANGKE: “La collaborazione con Kitano inizio da Platform e andò avanti per molto tempo. Mi diede un grande sostegno soprattutto all’inizio, il momento più difficile. Nella sua società c’era un produttore, Shozo Ichiyama, che fece un po’ il ruolo di ponte tra di noi e fu il principale sostegno della cooperazione. L’anno scorso ha lasciato la produzione e così per il momento abbiamo deciso d’interrompere la collaborazione, ma spero di poterla riprendere.
Iniziammo la collaborazione quando scrissi il mio quarto film, The World, e lo inviai a Shozo Ichiyama. Quando lesse la sceneggiatura disse che il film non avrebbe venduto per niente. Io ci rimasi male ma Kitano dopo qualche tempo mi chiamò dicendomi che aveva guadagnato un bel po’ di soldi col suo film Zatoichi e che quindi i soldi per il film ce li avrebbe messi lui. Ecco perché successivamente quando ho fatto il produttore ho investito nei film dei giovani registi: perché quando io stesso ne avevo avuto più bisogno c’è stato un regista della generazione precedente che mi ha dato sostegno”.
“Incontravo spesso Hou Hsiao-hsien ai festival di cinema e nelle sue opere vedevo una grande centralità del singolo e delle esperienze personali. Oggi può apparire scontato che nei film ci fosse la vita quotidiana, ma non lo era nella Cina dell’inizio degli anni 80, quando il singolo e la vita quotidiana non erano centrali nel cinema. Sul grande schermo si vedevano i grandi eroi, per cui il cinema di Hou Hsiao-hsien diede un impulso importante alla produzione cinematografica dei più giovani”.
IL SILENZIO NEL CINEMA DI JIA ZHANGKE
JIA ZHANGKE: “Quando inizio a scrivere le sceneggiature, scrivo, scrivo, scrivo… poi scrivo: non parlano – silenzio. Il silenzio per me è la lingua che contiene il maggior numero d’informazioni. Questo è anche legato alla modalità con cui i cinesi esprimono o non esprimano le proprie sensazioni: la loro abitudine è quella di rimanere in silenzio quando si tratta di dover parlare dei loro sentimenti e fare in modo che sia l’altra persona a dover capire il contenuto di quel silenzio. Nelle mie opere il suono più importante è la mancanza di suono. Quello che voglio fare è portare sullo schermo questo modo peculiare di esprimere le emozioni dei cinesi.
Quando scelgo le tematiche portanti dei miei film penso sempre a quale importanza avrà il silenzio. Oltre a questo spesso nei miei film ci sono delle parti che non vengono spiegate bene, che rimangono non-dette. Questa forma di espressione è un po’ come il silenzio tra due persone. Faccio in modo che siano sentimenti ed esperienze degli spettatori a cercare una spiegazione e si crei un’interazione col film, arricchendo il bagaglio di emozioni che il film porta con sé”.
“In Still life il personaggio femminile interpretato da Zhao Tao lascia lo Shanxi e va alla Diga delle Tre Gole per cercare il marito. Nella scena di Still life che abbiamo visto parlano di divorziare, ma in realtà in tutto il film non si sa perché vogliano divorziare, cosa sia successo tra di loro: non sappiamo quale sia la storia alle spalle di questo divorzio. Tra l’altro anch’io dopo aver girato quel film continuavo a chiedermi che cosa potesse essere successo tra i due (il pubblico ride, n.d.R.), per questo ho girato il film successivo, in cui si raccontavano le storie che erano rimaste taciute all’interno di Still life”.
LA SCELTA DEI TITOLI IN INGLESE
JIA ZHANGKE: “I titoli dei miei film sono generalmente scelti dal direttore della fotografia, che è di Hong Kong e quindi ha un inglese molto migliore del mio. È un fanatico della musica, molo spesso quando gli chiedo di trovare un titolo in inglese va a cercare tra i suoi cd proprio per trovare titoli. Una volta che ci dà le proposte, scegliamo il titolo che piace di più a tutti, Due titoli li ho scelti direttamente io: Still life e A touch of sin. Tutti gli altri il direttore della fotografia”.
“La musica ha una grande importanza all’interno dei miei film perché mi piace molto. L’ascolto con piacere. In Cina all’inizio non c’era la musica pop, c’erano solo canzoni di propaganda. Durante la rivoluzione culturale soprattutto, con le riforme e l’apertura, cominciò ad arrivare anche musica pop, prima da Taiwan ed Hong-Kong, poi dagli Stati Uniti e da tutto l’Occidente. Queste canzoni pop si combinavano molto bene con le emozioni dei giovani cinesi del tempo. C’erano sempre una o due canzoni super-popolari che diventavano simboli di una generazione. Quando decido di girare un film, scegliendo di ambientarlo in un periodo storico, vado a cercare le canzoni che erano particolarmente diffuse in quel tempo. Dovete sapere, poi, che in Cina si vive immersi nella musica. Se vi è capitato di fare un viaggio in Cina, in particolare una decina di anni fa e nelle piccole città cinesi, avrete osservato che c’è musica in ogni negozio, spesso ad alto volume, e quello che si sente è spesso la stessa canzone, o le stesse due o tre canzoni”.
STILL LIFE: UNA LOCATION FONDAMENTALE
JIA ZHANGKE: “La ragione per cui ho scelto quello sfondo si collega al motivo per cui ho scelto di girare quel film. Il titolo cinese è Le brave persone sotto la Diga delle Tre Gole è ispirato a questo grande progetto ingegneristico cinese che è la costruzione della Diga delle Tre Gole, simbolo dello sviluppo economico cinese e della forte volontà del governo centrale. Ha avuto un impatto enorme sulla vita di migliaia di persone che si sono dovute spostare dalle proprie case. La protagonista femminile chiede al marito il divorzio proprio sullo sfondo della diga, e nella tradizione cinese era difficile che fosse proprio la donna a chiedere il divorzio. Volevo sottolineare come ci si trovasse in un momento di liberazione e di apertura nei singoli e nelle persone. Oggi vedete una Cina molto individualista, ma alla fine degli anni settanta era diverso. La Diga delle Tre Gole sullo sfondo era simbolo della contrapposizione tra lo sviluppo socio-economico della Cina, con tutti i suoi cambiamenti esteriori, visibili a tutti, anche veloci, come la diga, l’alta velocità, le strade; ed i cambiamenti interiori, come il dialogo sul divorzio, che richiedevano molto più tempo rispetto a quelli grandi ed evidenti”.
A TOUCH OF SIN: IL TOCCO DI ZHAO TAO
ZHAO TAO: (a proposito di una scena in cui un uomo percuote la protagonista con un mazzo di banconote perché si è rifiutata di avere un rapporto sessuale a pagamento, n.d.R.) All’interno di A touch of sin vengono raccontate quattro storie diverse e quella del mio personaggio è solo una delle quattro, peraltro una storia vera. Una donna vuole portare avanti la sua famiglia col suo impegno, lavorando, ma viene fraintesa e alla fine non può fare a meno di ricorrere alla violenza per ritrovare il rispetto per sé stessa. Questa storia mi aveva colpita per come questa donna trova una forza, che però è violenta, per ritrovare la sua dignità. Non sapevo come Jia Zhangke volesse farci girare questa scena. Ce la fece provare per sei ore e l’attore che era con me mi picchiò con le banconote per sei ore: non ne potevo più! Dopo aver girato per sei ore ho sperimentato su me stessa le sensazioni di quella donna e mi sono chiesta: se questa scena fosse realmente accaduta nella vita quotidiana, sarei stato in grado di sopportarla? Probabilmente no, e quindi per riprendere la mia dignità avrei fatto lo stesso. In molti hanno detto che la donna ha sbagliato a commettere l’omicidio, ma io credo in quella circostanza di poterla comprendere”.
IO SONO LÌ: IL DAVID DI DONATELLO DI ZHAO TAO PER IL FILM DI ANDREA SEGRE
ZHAO TAO: “Le mie esperienze in ambito cinematografico erano state tutte con Jia Zhangke. Il suo lavoro si svolge quasi senza sceneggiatura perché lui le scrive ma poi le cambia per la recitazione spontanea e improvvisata. Io non conoscevo che questa modalità improvvisata di recitare. Lo stile di regia di Andrea Segre era completamente diverso. Con Andrea iniziammo a fare le prove per un mese intero ogni giorno. Abbiamo messo in scena la sceneggiatura completa per almeno 4-5 volte. Questo processo mi consentì di entrare in contatto con gli altri attori e cominciai ad integrarmi, a non sentirmi più straniera. Iniziammo poi a girare il film e mi ricordo benissimo che alla prima scena Andrea mi disse di farla identica in tutto a quello che avevamo provato. Io mi sentivo estremamente a disagio perché mi sentivo poco naturale. Mi fermai e chiesi ad Andrea di provare a recitare non in base a quanto provato, ma per come mi sentissi io in quell’istante. Lui ci pensò un bel po’ ed alla fine accettò di provare. Cancellai tutti i movimenti che avevamo provato. Io avevo memorizzato il copione in italiano già prima di venire in Italia, ma mi accorsi che il mese di lavoro con Andrea sommato alla pratica di recitazione spontanea che avevo avuto in Cina si combinava veramente bene e quindi creai un metodo di recitazione tutto mio che è stato molto importante come esperienza”.
SCAMBIO DI COPPIA: JIA ZHANGKE ATTORE, ZHAO TAO REGISTA?
JIA ZHANGKE: “Adesso in Cina si producono più di mille film l’anno, quindi ci sono sempre più registi a cui si chiede di fare anche gli attori. Nel mio caso era un mio ex compagno all’accademia del cinema di Pechino, ma mi va abbastanza bene perché mi è stato chiesto di interpretare un regista. Appena tornerò in Cina, comincerò le prove”.
ZHAO TAO: “Quando vedo un brutto film penso sempre cosa si potesse fare per girarlo meglio, quindi ogni tanto ho l’impulso di fare la regista. Poi però mi fermo un attimo e dico: no, aspetta! A casa c’è già un regista, è super-impegnato così e se mi metto a fare la regista anch’io… non andiamo più avanti!”.
JIA ZHANGKE: “Zhao Tao è bravissima a scrivere le sceneggiature. Qualche tempo fa abbiamo fatto un cortometraggio di cui ha scritto lei ha sceneggiatura. L’ha scritta col cellulare, per cui ogni giorno me ne mandava un pezzetto ed era veramente ben scritto, è stata molto brava. E l’abbiamo girato!”
ZHAO TAO: “Sono stata io la regista!”
IL FESTIVAL DI PINGYAO: FIDUCIA AI GIOVANI
JIA ZHANGKE: “La ragione per cui ho deciso di creare un nuovo festival del cinema internazionale di cinema, il Pingyao International Film Festival che si tiene a Pingyao, piccola cittadina cinese, nonostante in Cina ci siano già importanti festival di cinema come quello di Shangai e quello di Pechino, è per due ragioni. La prima è che nei grandi festival si selezionano opere di registi famosi ed importanti e difficilmente arrivano sullo schermo i film di registi giovani. Ho deciso di portare quest’ultime in una città più piccola perché sono i film che hanno la maggiore vitalità. Io mi occupo però della macro-organizzazione e dei finanziamenti mentre c’è Marco Müller che si occupa invece della selezione dei film, che sono una cinquantina. La seconda ragione è che da quando ho cominciato a fare il produttore mi è piaciuto aiutare i giovani registi cinesi a farsi conoscere. Siccome sono molto impegnato col mio lavoro di regista, ho deciso di costruire questo festival per creare una piattaforma che consentisse ai giovani registi cinesi di farsi conoscere dal pubblico e dai media e – perché no – per prendere contatti. Soltanto quest’anno 28 dei progetti presentati al nostro festival hanno trovato dei finanziamenti per andare avanti. La nostra speranza è quella di poter dare al pubblico cinese una scelta sempre più diversificata a livello cinematografico, quindi far incontrare culture diverse: non solo opere statunitensi o di Hong-Kong o di Hollywood. Quest’anno c’è stato anche un film italiano (Sole di Carlo Sironi, sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2019, n.d.R.)”.
(in foto: da sinistra a destra, Richard Peña, Zhao Tao, Jia Zhangke, Giovanna Fulvi; alle spalle, al centro, l’interprete. Teatro Studio Gianni Borgogna, Festa del Cinema di Roma, 26 ottobre 2019. Trascrizione ostinatamente scritta nell'epoca dei video ad ogni costo)
Antonio Maiorino