Estero

Israele, stravince Netanyahu: paese ancor più a destra e a rischio isolamento

 GERUSALEMME, 18 MARZO 2015 – È stato un trionfo: Benjamin Netanyahu conquista il suo quarto mandato in Israele, e il Likud si accaparra ben 30 dei seggi della Knesset; i Sionisti Uniti di Tzipi Livni raggiungono invece quota 24. Ora la sfida è formare un governo forte: Netanyahu ne promette uno entro due o tre settimane, ma il frazionamento dei partiti del sistema israeliano dà matematicamente filo da torcere alla formazione di una coalizione, dal momento che il fronte dei partiti di centro-destra e quello di centro-sinistra sono quasi equivalenti.

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Una vittoria va evidenziata anche da parte della lista comune dei partiti arabi, che conquista 14 seggi diventando la terza forza del parlamento israeliano; la scelta degli elettori è probabilmente stata incentrata anche sulla sicurezza, dato il caos mediorientale che dilaga appena fuori i confini di Israele. Gli altri eggi di queste elezioni anticipate sono stati assegnati infine ai centristi di Yesh Atid, la classe media del paese (11 mandati); a Kulanu, partito nato dal Likud (10); ai nazionalisti della destra radicale di Focolare ebraico (8); a Shas, gli ultra-ortodossi sefarditi (7); agli askenazisti (6); alla sinistra pacifista di Meretz (4).

È molto probabile che sia i partiti di destra che quelli di matrice religiosa saliranno sul carro di Netanyahu per la formazione di governo, e dunque a bilanciare le cose sarà Kulanu, la nuova forza centrista guidata da Moshe Khalon. Questi affollava in passato le fila del Likud, poi emarginato da Netanyahu; rapporti pressoché complicati, ma già durante la campagna elettorale sono emersi segnali di tregua che potrebbero far pensare a un riavvicinamento, anche perché a Khalon era stato offerto un posto come ministro delle Finanze.

Altro nodo cruciale e spinoso è la questione palestinese: il nuovo esecutivo – ancor più di destra nazional-religiosa di quello uscente – avrà ancor meno intenzione di riprendere i negoziati di pace. Non manca poi il no secco sul nucleare iraniano – e i tentativi americani sulla questione; si potrebbe inoltre correre il rischio di una maggiore deriva religiosa del paese, trasformando Israele in un'entità etnica che discriminerà i cittadini arabi musulmani e cristiani. A Obama manca ancora un anno e mezzo alla fine del mandato, e i rapporti USA-Israele sono forti al punto che Washington potrebbe autonomamente proseguire sui trattati di pace israelo-palestinesi, per poi provare a imporli a Tel Aviv. Di certo, la nuova forza politica non lascia presagire aperture particolari, né verso gli Stati Uniti, né verso l'Unione Europea, tanto meno con i paesi arabi moderati. Si rischia il totale isolamento di Israele, insomma; chi ne ha tratto una sorta di giovamento è paradossalmente Hamas, che s'è visto rinforzare le linee subito dopo l'annuncio del trionfo di Netanyahu.

Foto: lastampa.it

Dino Buonaiuto