Islanda, una rivoluzione democratica che passa anche dai social network
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Reykjavík, 31 luglio 2011- Troppo in sordina si sta facendo passare la rivoluzione democratica che il popolo islandese ha posto in essere. Forse perché, quanto sta accadendo, rappresenta un isolato lampo di luce nel neo-medioevo in qui ci troviamo. Infatti, se questo venisse percepito come esempio, potrebbe risultare “pericoloso” per le istituzioni ed i poteri economici. Sarà per questo motivo, che l’informazione in merito, si muove quasi esclusivamente sul web.[MORE]
L’azione del popolo islandese si protrae ormai da due anni. Il 2008 fu per l’Islanda il suo Annus Horribilis, in cui dovette assistere al fallimento e poi alla nazionalizzazione delle sue tre principali banche, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir. L’anno successivo, il crollo dell’ 85% della corona rispetto all’euro, condusse alla bancarotta il governo. Per sopperire alle difficoltà, il Paese fu costretto a rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale. Intanto già cresceva il dissenso dei cittadini che li condusse a costituire un presidio permanente davanti al parlamento.
Il 23 gennaio 2009 furono convocate le elezioni anticipate e tre giorni dopo i cittadini erano di nuovo in piazza in migliaia e imposero le dimissioni del Primo ministro e di tutto il suo governo in blocco: fu il primo governo vittima della crisi finanziaria mondiale. Intanto, l’unica soluzione prospettata dal FMI e dall’Unione Europea fu la socializzazione del debito, ovverosia era la popolazione che se ne doveva far carico.
Il nuovo governo, eletto il 25 aprile 2009, si allineò alla suddetta proposta, attraverso una manovra di salvataggio di 3 miliardi e mezzo di euro, che avrebbe gravato su tutte le famiglie islandesi per 15 anni e con un interesse del 5,5%, per un esborso mensile pari a circa 100 euro per famiglia. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Così, la voce all’unisono del popolo islandese, riuscì a dissuadere il capo di stato Ólafur Ragnar Grímsson a non approvare la manovra fiscale e a indire un referendum sulla questione. Nonostante le minacce (poi messe davvero in atto) da parte dei governi esteri più esposti, quali Olanda e Gran Bretagna, di congelare i risparmi e i conti in banca degli islandesi, il referendum passò con un consenso del 93% da parte di quelli che sostenevano che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini.
Così, in una dichiarazione ufficiale il Presidente islandese Olafur Ragner Grimsson affermò: “Il popolo ora si è pronunciato chiaramente su questo tema in due occasioni, in conformità con la tradizione democratica che esprime il contributo europeo più importante alla storia mondiale. I leaders di altri stati e di istituzioni internazionali dovranno rispettare questa espressione della volontà nazionale. Le soluzioni alle dispute emerse dalla crisi finanziaria e dai fallimenti bancari devono prendere atto dei principi democratici che sono le fondamenta della struttura costituzionale dell’occidente. I due referendum sul tema Icesave hanno permesso alla nazione di riguadagnare la sua fiducia nella democrazia e di esprimere l’autorità sovrana nei propri affari e così determinarne lo sbocco su questioni difficili. Questa è un’esperienza valida su cui costruire il futuro”.
Nonostante ciò, il FMI si affrettò a congelare l’aiuto economico all’Islanda, nella speranza di imporre in questo modo il pagamento dei debiti. A questo punto il governo islandese aprì un’inchiesta per individuare e perseguire penalmente i responsabili della crisi. Questo portò a far scattare i primi mandati di cattura e gli arresti per banchieri e top-manager; l’Interpol emanò un mandato di arresto internazionale contro l’ex presidente della banca Kaupthing.
La caparbietà, l’impegno, l’orgoglio degli islandesi li ha condotti alla proposta di creare ex novo una nuova costituzione completamente su base popolare. Così, nel novembre 2010 è stata eletta un’assemblea costituente composta da 25 cittadini scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Questa ha avviato i propri lavori nel febbraio 2011. Ed essendo figlia dei tempi, si tratta di una costituzione completamente costruita sulla comunicazione attraverso i social network. Inoltre, l’altro strumento “rivoluzionario” sul quale stanno lavorando è “Icelandic Modern Media Initiative”, un progetto finalizzato alla costruzione di una cornice legale per la protezione della libertà di informazione e di espressione.
Alla luce di tutto ciò, è evidente perché, in Nazioni come la nostra, si cerca di non “sponsorizzare” tali eventi. Mai sia che il popolo italiano, stanco di tutto quello che ogni giorno gli viene propinato dalla Casta (senza distinzione ideologica di destra e di sinistra), prenda coscienza e decida di seguire l’esempio islandese. Sarebbe un pericoloso “precedente” ad imperitura memoria.
Tuttavia, come aveva osservato Mario Monicelli, “Quello che in Italia non c'è mai stato, una bella botta, una bella rivoluzione, rivoluzione che non c'è mai stata in Italia; c'è stata in Inghilterra, c'è stata in Francia, c'è stata in Russia, c'è stata in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, trecento anni che è schiavo di tutti”.
Rosy Merola