Estero
Isis: raid Usa ha probabilmente colpito il boia britannico Jihadi John: sono in corso le verifiche
RAQQA (SIRIA), 13 NOVEMBRE 2015 - Gli Stati Uniti sono passati all'azione contro l'Isis anche nel territorio siriano, con aerei da combattimento, bombardieri e missili Tomahawk lanciati dalle navi che incrociano nella regione hanno colpito nel corso della notte obiettivi nel nord del Paese. Uno di questi raid, lanciato a Raqqa, aveva l'obiettivo di colpire Jihadi John, ma non è ancora noto se questo è andato a segno, come riferiscono il Washington Post e la Cnn, citando alti funzionari. Secondo le prime informazioni, Jihadi John, il boia di origine britannica, potrebbe essere stato colpito a morte da un drone, ma sono ancora in corso le verifiche.
In un collegamento televisivo la corrispondente dell’emittente Cnn dal Pentagono, Barbara Starr, ha detto che fonti dell’amministrazione Usa “credono di aver colpito e ucciso Jihadi John, ma al momento non è confermato ufficialmente perché non ci sono né truppe né personale di intelligence sul terreno dove è stato effettuato il raid. Nelle prossime ore, anche se sono convinti di averlo ucciso, faranno quello che accade in queste situazioni: cercheranno sui social media e monitoreranno le comunicazioni dell’Is in giro per il mondo per vedere cosa dicono e trovare conferme”.[MORE]
Il vero nome di Jahdi John è Mohamed Emwazi, di nazionalità britannica. Emwazi infatti è nato in Kuwait nel 1988, ma poi trasferitosi con la famiglia a Londra all'età di 6 anni, dove si è laureato in informatica. Il boia è apparso diverse volte nei video diffusi dallo Stato Islamico ed è ricercato da tempo. Dovrebbe essere stato lui l’omicida che ha ucciso James Foley, Steven Sotloff, Abdul Rahman Kassig, David Haines, Alan Henning e Kenji Goto, che erano finiti tutti ostaggi nelle mani dell’Isis e assassinati con l’intento di ricattare i paesi occidentali e i loro alleati. Jihadi John faceva parte di un gruppo di militanti arrivati dalla Gran Bretagna e soprannominati i “Beatles”.
(foto dal sito www.telegraph.co.uk)
Michela Franzone