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Iraq: a 26 anni dal massacro di Al-Anfal, i curdi chiedono ancora il riconoscimento del genocidio

 ERBIL (IRAQ), 14 APRILE 2014 – Son passati ben 26 anni, da quando Saddam Hussein intraprese una campagna anti-curdi nel nord dell'Iraq, uccidendo circa 100.000 persone. Le operazioni iniziarono nel febbraio del 1988, verso la fine della guerra contro il vicino Iran, passando per il bombardamento chimico a Halabja, nel marzo dello stesso anno, e giungendo fino al 14 aprile, dove ebbe luogo una delle più sanguinose operazioni militari, quella perpetrata ad Al-Anfal. È proprio in questa data che cade la commemorazione della strage, ma che a tutt'oggi non è riconosciuta come un vero e proprio genocidio, se non dal governo iracheno e da quello svedese, norvegese e sudcoreano. Per molti altri paesi, il non riconoscimento li ha spogliati della responsabilità di armare Saddam per un lungo periodo di tempo.

Ne è un esempio l'operato della Tatcher, che per anni ha fornito armi al regime di Saddam. La compravendita è venuta alla luce nel 2011, quando sono stati resi pubblici diversi file segreti del governo, dal 1981. I documenti mostrano una particolare attenzione all'acquisto e alla vendita di armi “non letali”, con l'intenzione di sfruttare un mercato “promettente” per la vendita di equipaggiamenti e di difesa. Entro la fine del 1981, infatti, il governo di Baghdad aveva accumulato un arsenale enorme, tale da poter permettersi di lanciare operazioni offensive e reggere il confronto con il gigante Iran. E i governi di tutto il mondo hanno tragicamente chiuso gli occhi di fronte agli scempi che stava preparando Saddam.

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L'omicidio di massa sistematico e mirato dei curdi iracheni rientra nella definizione di genocidio a tutti gli effetti, secondo una convenzione delle Nazioni Unite. Il governo britannico riconosce l'efferatezza della campagna militare, ma si giustifica dicendo che il riconoscimento di un genocidio può essere fatto solo da un organo giurisdizionale, e non spetta a un singolo governo cosa è un crimine e cosa non lo è. Allo stesso tempo, alcuni politici sottolineano l'improbabilità che un procedimento giudiziale possa avere luogo oggi, a 26 anni dai famigerati episodi, e che quindi i governi dovrebbero mobilitarsi e riconoscere il genocidio.

La questione del “dare un nome” alle operazioni di Saddam Hussein potrebbe scontrarsi sul piano semantico per molti, ma per i curdi l'argomento rappresenta un valore persino di unità collettiva, un sollievo morale e psicologico, e che possa esorcizzare i timori e scongiurare il rischio che possa capitare di nuovo.

Foto: aljazeera.com

Dino Buonaiuto