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Iran: l'adulterio di una donna è più grave di un omicidio, condannata alla lapidazione

L’adulterio è peggio dell’assassinio, l’adulterio femminile, ovviamente. Succede in Iran secondo le parole di un amico al giornale inglese Guardian, di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione.
Il caso ha fatto il giro del mondo e adesso, secondo quanto riportato dall’amico, il governo iraniano sta facendo di tutto per giustificare la condanna, coinvolgendo la donna anche nell’omicidio del marito.[MORE]

Ieri Mossadegh Kahnemoui, un alto funzionario della Giustizia iraniana, aveva affermato di fronte alla Commissione per l'eliminazione della discriminazione razziale, che "questa signora, oltre a doppio adulterio è stata trovata colpevole di cospirazione per assassinare suo marito". "Stanno mentendo - ha dichiarato Mohammadi Ashtiani - sono imbarazzati per l'attenzione internazionale al mio caso, e stanno disperatamente cercando di distrarre l'attenzione e di confondere i media in modo da potermi uccidere in segreto". In effetti, prosegue la donna, "sono stata dichiarata colpevole di adulterio, ma prosciolta dall'accusa di assassinio. L'uomo che ha effettivamente ucciso mio marito è stato identificato e incarcerato ma non e' stato condannato a morte".

Secondo altre fonti l'uomo, in effetti, non verrà giustiziato perché il figlio della vittima, e di Mohammadi Ashtiani, lo ha perdonato. Lei invece è stata condannata a morte per adulterio.
I motivi della condanna
"La risposta - afferma Mohammadi Ashtiani - è semplice, è perché sono una donna, è perché pensano che possono fare quello che vogliono alle donne in questo paese. E' perché per loro un adulterio è peggiore dell'assassinio. Non ogni tipo di adulterio, però: un uomo che lo commette non può neppure essere arrestato, mentre una donna adultera per loro è la fine del mondo. E' perché in questo paese le donne non hanno il diritto di divorziare dai loro mariti e sono private dei diritti di base".

La donna ha inoltre raccontato di non aver neppure capito, al momento della sentenza, che era stata condannata alla lapidazione, visto che era stata usata la parola araba 'rajam' a lei sconosciuta. "Mi hanno chiesto di firmare la mia sentenza, cosa che ho fatto, poi sono tornata in carcere e le mie compagne di cella mi hanno spiegato che sarei stata lapidata, e sono immediatamente svenuta", racconta al giornale britannica.

Anche il suo avvocato è stato perseguitato ed è dovuto fuggire in esilio in Turchia e proprio oggi è in viaggio verso la Norvegia: sua moglie è detenuta nel famigerato carcere di Evin senza accuse precise. Il legale aveva offerto gratuitamente la sua assistenza a Mohammadi Mostafei, ed era riuscito a ottenere attenzione internazionale sul caso. "Volevano liberarsi del mio avvocato - dice la donna al Guardian - in modo da potere facilmente accusarmi di qualsiasi cosa vogliono senza che lui possa parlare. Se non fosse stato per lui, sarei stata già lapidata". Mohammad Ashtiani descrive infine la sua vita nella prigione di Tabriz, e denuncia continui maltrattamenti da parte dei secondini. "Le loro parole, il modo in cui mi guardano, io, donna adultera da lapidare, è come essere lapidata ogni giorno".