InfoOggi Cinema
Intervista ai Fratelli D'Innocenzo: "La terra dell'abbastanza, l'amicizia in un contesto da incubo"
A Berlino, nella sezione Panorama, La terra dell'abbastanza di Damiano e Fabio D'Innocenzo è stato apprezzato per freschezza e profondità di sguardo. Freschissimi, loro, i due fratelli, nel debutto alla regia - ma non ultimi arrivati, per la gavetta in sceneggiatura: anche oscura, anche da ghost-writers. E di fantasmi La terra dell'abbastanza non ne lesina, specie quelli dei sensi di colpa: i due protagonisti (Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti) investono un uomo e decidono di scappare, per poi scoprirne l'identità di pentito affiliato ad un clan criminale. Sarà stato un affare, l'omicidio colposo? Forse più un "malaffare", ma lo scopriranno tra gloria e caduta. Noi ci rivolgiamo ai due registi per scoprire qualcosa in più sulla realizzazione del film.
ANTONIO MAIORINO: La terra dell’abbastanza: che immaginario suggerisce questo titolo e come si lega all’ideazione del film?
FRATELLI D'INNOCENZO: è un titolo che apre e scuote. Fu la prima cosa ad arrivare, il titolo, davanti al tavolo della nostra cena, come uno starnuto. Siamo stati ore quella sera stessa a interrogarci su cosa significasse ‘abbastanza’, su quanto fosse un termine altamente soggettivistico (cos’è abbastanza? Quanto cambia a seconda di questa o quella persona, di questo o quel contesto) e da lì abbiamo costruito una drammaturgia che si muovesse tra quelle sensazioni.
A.M: il film è un’opera prima, ma se consideriamo la vostra esperienza di sceneggiatori è tutt’altro che acerba. Cosa conserva dell’opera di debutto da un lato, cosa esprime del vostro percorso, già ricco, dall’altro?
F.D.I: paradossalmente, provenendo dal diletto infantile per il disegno e per la fotografia, siamo più acerbi come sceneggiatori che come registi, benché avremo scritto (dai 19 anni) una trentina di copioni. Sentiamo che il film abbia una bellezza molto interessante e contraddittoria, tra l’energia naïf e il rigore semantico [MORE]
A.M: l’abilità di sceneggiatori e registi è anche quella di far parlare gli ambienti. In che modo ci riesce La terra dell’abbastanza, qualificandosi come un prodotto personale, che vi appartiene, e non come l’ennesimo film sulla periferia romana?
F.D.I: non eravamo interessati a un taglio documentaristico nella misura in cui a livello figurativo tutto sarebbe risultato già visto, poco intenso sulla composizione scenica. Non avvisiamo però in compenso un ‘ennesimo’. Negli ultimi anni ci sono stati parecchi film sulle periferie? Quanti? Una decina? E quanti film ‘sulla borghesia’ si fanno? Tutti i restanti. Sentiamo incredibilmente castrante (sia periferico o borghese) ridurre all’ambiente le terminazioni nervose di un racconto.
A.M: sarebbe riduttivo anche definire La terra dell’abbastanza come un film di genere: come inquadrarlo, allora? È più un romanzo di formazione all’incontrario, alla Breaking Bad, o una storia d'amicizia?
F.D.I: considera che per noi è stato da sempre un romanzo di formazione rovesciato, la storia di un’amicizia sottoterra. Ci interessava mostrare un legame in un contesto d’incubo, dove incombe (o addirittura precede) la sconfitta. Il genere si è rivelato utilissimo. È un dispositivo, quello del genere, che fa entrare velocemente lo spettatore, egli inconsciamente già conosce regole e cadenze. Poi tendiamo ad aggirarlo, quel genere, ma ne riconosciamo le grandissime doti di inclusione e familiarità (oltre ad amarlo in primis come spettatori). Il nostro secondo film riproporrà un genere (il western) ma si allargherà a parlare di segni universali, archetipici, mischiando alto e basso.
A.M: per scegliere i due attori protagonisti – Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti – avete ragionato prevalentemente sull’abilità dei singoli interpreti, o avete provato ad immaginare il loro affiatamento in tandem? Cosa cercavate?
F.D.I: cercavamo la magia. Gli attori sono il film, punto. Si parte e si finisce sempre da loro. Nello specifico Olivetti e Carpenzano sono cuore, testa, gambe, pensiero, fegato e sfacciataggine.
A.M: un film di bivi, un film di giovani (bruciati): ma qual è il ruolo delle figure genitoriali ne La terra dell’abbastanza?
F.D.I: due assenze tra altre assenze. Due genitori single che si barcamenano. Il personaggio di Tortora è un relitto sghembo, qualcosa che continua a vivere più per pigrizia che per reali stimoli. Quello di Mancini rappresenta invece la luce, una luce stanca, ma un’apertura, una resistenza, una reiterazione.
A.M: Ho saputo che da cinefili purosangue organizzavate delle piccole rassegne private, in cui ognuno dei due selezionava 10 film, e poi ci si riuniva a mo’ di giuria per dare i premi. Se doveste scegliere un pugno di titoli a testa, con la condizione che siano del terzo millennio, quali indichereste?
F.D.I: solitamente nelle rassegne non potevi mettere, che so, Scorsese o Kubrick. Era tacitamente vietato. Se lo facevi vuol dire che eri in grossa crisi organizzativa. Toccava invece scoprire titoli, rivalutare autori, scovarne di emergenti. C’era una bella concentrazione di tentativi. Qualche buona chicca più o meno moderna potrebbe essere ‘Tekkonkinkreet’ di Michael Arias, ‘Road to Nowhere’ di Monte Hellman, ‘La Buona Uscita’ di Enrico Iannaccone, ‘Piccola Patria’ di Alessandro Rossetto, ‘Los Versos del Olvido’ di Alireza Khatami, ‘Luz Silenciosa’ di Carlos Reygadas, ‘Kekszakallu’ di Gaston Solnicki, ’Series 7 The Contenders’ di Daniel Minahan.
USCITA: 07 giugno 2018
GENERE: Drammatico
REGIA: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
CAST: Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti
PAESE: Italia
DURATA: 96'
DISTRIBUZIONE: Adler Entertainment
(in alto: dettaglio di manifesto promozionale del film; all'interno: in alto, i Fratelli D'Innocenzo, in basso, dettaglio di fotogramma del film; FONTE: Adler Entertainment)
Antonio Maiorino