Cultura e Spettacolo

Intervista a Sergio Rubini - ospite all'Oriolo Cult Festival 2014

ORIOLO (CS), 8 AGOSTO 2014 – Una prestigiosa apertura di stagione per la XVII rassegna del Teatro La Portella di Oriolo, nell’ambito di “ORIOLO CULT FESTIVAL 2014 - teatro fotografia musica performing art: Sergio Rubini ha proposto il 5 sera il recital “La guerra dei cafoni”, tratto dall’omonimo romanzo (2008, selezione Premio Strega) di Carlo D’Amicis – con musiche originali di Michele Fazio, eseguite dal vivo al pianoforte.

Era l’estate del 1975: brani scelti dell’opera, interpretati dal noto attore e regista, ne fanno rivivere l’atmosfera elegante e ruvida al contempo, raccontando “la guerra che oppone i ragazzi benestanti di un villaggio della costa salentina ai loro conterranei figli di pescatori, pastori e contadini, detti cafoni”.

 

Sergio Rubini si racconta a InfoOggi


È senza dubbio un privilegio per il Teatro La Portella di Oriolo aprire questa rassegna teatrale con il suo spettacolo. Prime impressioni di questa esperienza?
Beh, proprio tecnicamente è stata una bella esperienza, nel senso che il luogo è molto accogliente, ma soprattutto ha una buonissima acustica. Lo spazio, oltre ad essere suggestivo, è molto efficace: è molto bello quello che vedi! E quindi questo ti sprona, ti viene voglia di fare bene, di essere all’altezza dello spazio. A volte pensiamo che siano solo le persone a fare gli spazi, invece, a volte sono gli spazi a fare le persone. E questo luogo si adatta molto proprio al gioco del teatro… molto bello! E poi il paesino, il centro storico è bellissimo: Oriolo in realtà è un posto che non conoscevo, e mi colpisce molto!


Il recital proposto è un omaggio alla poesia e al teatro. Il filo conduttore del progetto?

Genesi del recital: qualche anno fa mi ha contatto la casa editrice Minimum fax per realizzare un recital tratto dal romanzo omonimo di Carlo D’Amicis. L’autore conosceva un film che avevo diretto nel 2000 e ambientato negli anni Settanta in Puglia (Tutto l’amore che c’è) - per il quale Michele Fazio ha composto la colonna sonora - e dunque ha stralciato personalmente i brani dal suo romanzo, che sono gli stessi poi proposti questa sera. Così ho iniziato a interpretare queste letture un po’ in giro… all’università a Milano, a Roma… per un po’ per conto della stessa casa editrice. Le proponevo accompagnandomi con la performance di un percussionista, ma non ero soddisfatto del risultato. Così ho sottoposto il progetto artistico a Michele, che ha realizzato delle musiche originali: e il risultato è uno spettacolo meno free, più strutturato. Il tema , a parte il Sud, si richiama al passaggio epocale dagli anni ’70 agli anni ’80, la fine della lotta di classe, la nascita della melassa… che però avrebbe dovuto liberare tutti e invece non ha liberato nessuno. E poi gravita anche intorno alla grande trasformazione avvenuta alla fine degli stessi anni ’70, la fine delle speranze, dei sogni.


Attore, regista, sceneggiatore… Il suo è un curriculum di quelli coerenti sin dall’inizio. Come nasce la passione per il cinema?

Il cinema andavo a vederlo al mio paese. Poi nel cinema, ci sono francamente capitato. Mi sono trasferito a Roma, dal mio paese, in Puglia, per frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Non ero a conoscenza dell’esistenza del Centro sperimentale di cinematografia (CSC) e soprattutto in quegli anni era anche chiuso. Per me lo spettacolo era il teatro. Sono entrato in quella scuola di formazione e poi ho iniziato a recitare a venti anni. Ma ben presto ho capito che proprio la vita dell’attore di teatro non mi piaceva così tanto… un po’ mi scompensavo, poiché il nomadismo del teatro mi fa perdere un centro. E allora mi sono avvicinato alla radio, al doppiaggio. Successivamente ho presentato delle mie fotografie in un posto e un giorno mi hanno selezionato: così, a ventidue anni, ho iniziato a lavorare nel cinema. Riguardo alle fotografie, va detto che inizialmente non avevo un vero e proprio book… erano scatti del mio professore di matematica. In merito, ricordo con simpatia una osservazione di Federico Fellini, che ho incontrato all’età di venticinque anni presso il celebre teatro 5 di Cinecitta: «Complimenti, signor Rubini, lei, all'opposto della maggioranza degli attori, assomiglia alle sue fotografie». Nel senso che le foto erano estremamente fedeli alla realtà.[MORE]


Nell’epoca del disincanto, in cui le illusioni e i sogni generazionali sembrano infrangersi, in che modo il cinema, il teatro e l’arte in generale possono contribuire a riaffermare la responsabilità etica dello sguardo?

Per il cinema, per la letteratura, il problema è che gli artefici sono figli dell’epoca in cui vivono. Di conseguenza, spesso e volentieri è proprio da loro che non parte nulla, sebbene nell’immaginario comune l’artista sia visto come una sorta di vate, un veggente. In realtà, l’artista è figlio del suo tempo ed è colui che più visibilmente ne porta addosso le ferite. Poi ogni tanto nasce qualche illuminato, e allora deve accadere qualcosa di riflesso, deve essere illuminato, recettivo, anche lo sguardo. Noi viviamo adesso in un momento molto delicato… la società occidentale è allo stremo. Ciò che vi è di più forte arriva ad esempio dalle cinematografie dei paesi più poveri, dove si vive in modo meno tranquillo, dove si soffre. L’arte, la poesia, nasce dalla sofferenza. A tal proposito cito un aneddoto, una battuta del cantautore Bruno Lauzi: alla fine di un suo concerto, una signora del pubblico si era alzata tra gli applausi e complimentandosi gli chiese: «Però, che peccato, lei scrive sempre delle canzoni così tristi, perché?». E Lauzi rispose: «Perché quando sono felice esco. Non rimango a casa a scrivere la musica!». Dunque, si crea, si compone, quando si sta male. Noi stiamo troppo bene per produrre qualcosa di buono.

Lavori in corso?
Ho appena girato un film all’Asinara, sul set del regista Cabiddu insieme a Ennio Fantastichini, Teresa Saponangelo e Luca De Filippo. Il prossimo invece a settembre, con la regia di Paolo Genovese. E poi, ho scritto un mio film che spero di girare all’inizio del prossimo anno.

Mai senza…
L’amore!

 

Domenico Carelli

(Foto: in evidenza dettaglio locandina; nel corpo del testo, foto di scena)