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Installazione ascensore: occorre sempre il preventivo parere favorevole dell'assemblea?
COSENZA, 18 SETTEMBRE - A decidere di installare l’ascensore possono essere solo alcuni condomini che si accolleranno, ai sensi dell’art. 1123 c.c., in proporzione ai rispettivi millesimi le relative spese. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 20713/2017, depositata il 4 settembre. [MORE]
Il caso. Alcuni condomini avevano convenuto davanti al Tribunale competente gli altri condomini per sentir accertare il costo dell’ascensore installato da questi ultimi nel Condominio e le relative quote di contribuzione nelle spese di gestione e manutenzione dell’impianto. Il Tribunale, espletata CTU, alla quale faceva seguito la decisione, ritenuta implicita nella domanda svolta quella di riconoscimento del diritto degli attori all’acquisizione della comproprietà dell’impianto ex art. 1121, comma 3, c.c., accertava che il costo dell’ascensore fosse di Euro 32.576,78 e determinava la quota di contribuzione a carico di ciascun attore ai sensi dell’art. 1124 c.c.
Avverso la sentenza di primo grado i convenuti proponevano gravame che veniva rigettato dalla Corte d’Appello territoriale. I giudici di seconde cure affermavano la sussistenza dell’interesse ad agire degli attori originari, pur avendo essi dichiarato inizialmente di non voler esercitare il diritto potestativo di partecipare alla comunione dell’ascensore, in ogni caso avendo poi gli stessi nel corso del giudizio espresso la volontà di entrare a far parte della comunione dell’ascensore (al punto da proporre altro giudizio avente ad oggetto proprio tale pretesa). Altresì, negavano la ravvisabilità di un abuso del diritto da parte degli attori, per aver prima domandato in altra causa la demolizione dell’ascensore, e poi nel caso in esame la declaratoria della comunione del medesimo; come anche escludevano l’indeterminatezza della citazione, ben individuata e qualificata dal Tribunale e tale da consentire ai convenuti di difendersi. La sentenza d’appello riconduceva, inoltre, l’ascensore alle innovazioni di cui all’art. 1121 c.c. e condivideva il valore dell’impianto stimato dal CTU.
Avverso tale sentenza i ricorrenti proponevano ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, in ottemperanza a quanto richiesto, respingeva il ricorso sulla base di vari principi di diritto. Innanzitutto, affermava che l’interpretazione delle richieste formulate in giudizio dagli attori, ai fini della verifica di sussistenza del relativo interesse ad agire, era demandata al giudice di merito, il cui giudizio si risolveva in un accertamento di fatto, incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, congruamente ed adeguatamente motivato. I ricorrenti ravvisano nei primi due motivi di doglianza la carenza dell’interesse ad agire e poi l’ultrapetizione della sentenza impugnata, in quanto sostenevano che fosse stata proposta dagli attori una domanda di mero accertamento del costo di installazione dell’ascensore, ed invece, poi accolta dal giudice, una domanda di partecipazione alla comproprietà dell’impianto mai proposta. I giudici di merito avevano, invece, interpretato e qualificato la domanda di accertamento dei costi e delle rispettive quote di contribuzione all’impianto (e quindi così valutati sia l’interesse ad agire che il limite di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), per come già inizialmente formulata in citazione, o comunque per come poi esplicitata nel corso di giudizio, quale domanda di accertamento giudiziario di quei fatti nella loro funzione genetica del diritto potestativo di partecipare alla comproprietà dell’ascensore, contribuendo "pro quota" nelle spese di esecuzione. Pur dando effettivamente atto di una ridefinizione della loro pretesa effettuata dagli attori nel corso del giudizio, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la domanda così modificata risultasse comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e che non si fosse determinata alcuna compromissione delle potenzialità difensive delle controparti.
Con il terzo motivo i ricorrenti sostenevano che l’installazione dell’ascensore fosse viziata in quanto non preceduta da apposita delibera assembleare che l’avesse autorizzata con le dovute maggioranze previste per legge. La Suprema Corte respingeva, correttamente, anche tale motivo di reclamo e, in particolare, ricordava che, coerentemente alle possibilità di utilizzo delle parti comuni da parte dei condomini, l’installazione dell’ascensore potesse essere deliberata dall’assemblea con le maggioranze previste dell’art. 1136 c.c., realizzata direttamente con il consenso di tutti i condomini, o infine (trattandosi di bene del quale si può usufruire separatamente) “attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art. 1102 c.c.) salvo il diritto degli altri partecipanti in qualunque momento di avvantaggiarsi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera”. Dunque, l’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel Condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123, comma 3, c.c., comunione che era distinta dal Condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale.
Infine, i giudici di legittimità, con ordinanza approfondivano anche la corretta modalità di imputazione delle spese relative all’ascensore, precisando che quelle di manutenzione e quelle di installazione seguivano un differente regime: le prime (riferite ad un ascensore già installato) erano regolate dall’art.1124 c.c., e, pertanto, attribuite “per metà in ragione del valore elle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano”, mentre le seconde (relative ad una nuova installazione) erano attribuite come previsto dall’art. 1123 c.c., ovvero in ragione al valore proporzionale della proprietà di ciascun condomino.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di legittimità.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express