Cronaca

Giorno della memoria, Informare per resistere

27 Gennaio 2012. 27 gennaio 1945. La Sessantesima Armata sovietica del I fronte Ucraino comandata dal generale Fedor Krasavin apre le porte del campo di Auschwitz, località Monowitz. Lo spettacolo che si apre alla vista dell'armata russa è raccapricciante: centinaia di uomini, donne e bambini, magri come scheletri e dallo sguardo spento, sfilano dietro un filo spinato come fantasmi di una macabra processione. Invocano aiuto, ma è difficile comprenderli perché una babele di lingue si fonde in un unico grido di disperazione, in una supplica che lascia i liberatori ammutoliti. Possono solo urlar loro “Uze vy svobodnyie!” [Ormai siete liberi].

Il resto ci è stato tramandato dagli innumerevoli libri di storia, dai documentari e dai reportage, dalla vivida testimonianza di chi quell'inferno l'ha vissuto e vi è miracolosamente scampato. Parlare di quest'ade terrestre sarebbe poca cosa perché in molti l'hanno fatto, riportando numeri e nomi, immagini e frammenti di carta scritti dagli stessi prigionieri durante la detenzione, ma se da quei campi di sterminio uscirono dei sopravvissuti fu non solo grazie agli eserciti alleati, ma alla stessa resistenza e al mutuo soccorso. Ed è di questo che forse poco sappiamo. Se a quasi 60 anni di distanza il mondo continua ad offrirci l'immagine di un eterno conflitto tra esseri umani sarebbe bello poter parlare qui di come l'unione e la cooperazione possano salvare ancora, com'è già è accaduto, milioni di vite. [MORE]

Le violenze fisiche e psicologiche perpetrate all'interno dei campi non permisero mai la nascita di forme di resistenza che fossero anche lontanamente simili a quelle messe in atto dalle formazioni partigiane ma sappiamo con certezza che i polacchi, gli ungheresi, i francesi, gli italiani, gli stessi tedeschi dissidenti, gli yiddish e i rumeni internati programmarono e misero in atto forme di resistenza valide e, a loro modo, efficaci. Il loro modo di ribellarsi alle angherie iniziava già dentro le camere a gas, dove i condannati mostravano forme di resistenza spirituale con le quali cercavano di mantenere viva, oltre la mortalità del loro corpo, la scintilla della dignità umana. Organizzarono sabotaggi interni, rivolte spontanee ed evasioni. Contribuirono alla diffusione clandestina di attività culturali e politiche nascondendo copie cartacee e fotografiche di documenti che la Gestapo aveva dato alle fiamme per nascondere gli orrori compiuti al resto del mondo. Di quel coraggio muto e senza eco ne presero coscienza gli stessi membri delle SS. Pery Broad, funzionario di stanza ad Auschwitz, annotò nel proprio diario dell'atto di eroismo di padre Maksymilian Kolbe (internato n. 16.670), che si offrì di esser fucilato al posto di un padre di famiglia selezionato per rappresaglia tra un folto numero di prigionieri.

Si cercava di eludere le selezioni all'uscita dai convogli nascondendo i più deboli e i più anziani tra muri di persone, si evitava di morire di fame dividendo le razioni di cibo tra volti amici e sconosciuti, manomettendo documenti e cartelle cliniche. E si cercò di resistere all'incubo del lager attraverso l'attività clandestina di militari internati che si riunirono in veri e propri gruppi di lotta, come la ZOW (Zawiazek Organizacij Woiskowej – Unione dell'organizzazione militare), fondata nel 1940, e la ZWZ (Zwaizek Walki Zbrojnei - Unione della Lotta armata), costituita nel 1941 dal colonnello dell'esercito polacco Kazimierz Rawicz.

Ai primi di gennaio del 1943 le autorità del campo iniziarono durissime rappresaglie contro i dissidenti che portarono alla morte di 105 sabotatori. Le raffiche di fucile stroncarono le loro vite, mai il loro operato. Si stima che, grazie ai contatti tra queste cellule clandestine, i ribelli riuscirono a portare fuori dal campo le copie dei registri del carcere e dell'obitorio, le planimetrie dei forni crematori e delle camere a gas, le copie delle analisi antropometriche e degli studi del dottor Mengele, fotografie dei massacri ed elenchi dei convogli provenienti da tutta Europa.

Se è vero che la storia è fatta dagli eroi allora ricordiamoci, almeno in questo giorno di memoria, di tali vittime come di uomini valorosi che hanno saputo opporre il loro coraggio alla follia dei propri simili.
“Una facoltà ci è rimasta: e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l'ultima: la facoltà di negare il nostro consenso”, queste le parole scritte da un sopravvissuto del campo di sterminio di Auschwitz. Il suo nome era Primo Levi.

Sara De Franco