L'Avvocato INFOrma
In Condominio,se si vuole spostare il bagno e la cucina si deve stare attenti alle distanze dei tubi
COSENZA, 27 GIUGNO - In materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella relativa alle distanze delle tubazioni (di cui all'art. 889 c.c.) vanno applicate solo se compatibili con la struttura dell'edificio e la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei proprietari; pertanto, il Giudice di merito deve accertare se la loro applicazione non sia irragionevole e, nel caso, concludere per la deroga alla norma. La deroga deve discendere, quindi, da necessità obiettive e non da esigenze soggettive del Condomino. Questo è quanto sancito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 12633/2016, depositata il 17 giugno. [MORE]
Il caso. Tra due Condomini era insorta una controversia in seguito alle modifiche operate da uno dei due su un proprio immobile (di difficile ricollocazione sul mercato) al fine di aumentare le proprie possibilità di vendita. Infatti, in caso di appartamenti anni ’70 di grandi dimensioni e, pertanto, di difficile ricollocazione sul mercato, spesso alcuni proprietari decidono di suddividere l'immobile in due o più unità ripartendo diversamente gli ambienti, spostando bagni. E’ opportuno chiedersi se tale modifica deve rispettare le distanze imposte dall'art. 889 c.c. Il citato articolo stabilisce che “Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette. Per i tubi d'acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine. Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali”.
La società proprietaria dell'immobile suddiviso, dopo la soccombenza nel merito, ricorreva in Cassazione.
In sede di legittimità, la difesa della citata società ha sostenuto che i lavori che essa aveva effettuato avevano causato la necessità di violare le norme sulle distanze e, altresì, che fosse necessario verificare la compatibilità della nuove tubazioni con le norme sulle distanze.
I Giudici di legittimità non hanno giustificato la deroga anche perché nel corso del giudizio è emerso che vi erano alternative legali di riposizionamento dei tubi, anche se più costose. Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che nel Condominio è ammessa la deroga all’art. 889 c.c. ma solo quando ciò sia strettamente ed oggettivamente necessario, ovvero, quando le circostanze di fatto lo impongano e non vi sia altra soluzione. Se, al contrario, tutto dipende dalla scelta del Condomino, (nel caso in esame dalla sua decisione di dividere in due appartamenti un appartamento unico) la necessità di ricavare nuove tubazioni non lo esime dalle norme sul rispetto delle distanze. Ha affermato la Corte che “in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi”; ciò al fine di garantire l'«ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali».
Detta deroga deve, però, discendere dall'impossibilità di altre soluzioni che siano rispettose delle norme.
Ciò non è se la causa del posizionamento risiede non in aspetti strutturali obiettivi dell'edificio «ovvero a necessità che rendevano irragionevole il rispetto delle distanze ma» ad una scelta del condominio dovuta a ragioni di commercializzazione del bene.
D'altra parte, hanno affermato gli Ermellini che al caso de quo poteva applicarsi la versione previgente dell’art. 1122 c.c. che dispone «Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio».
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express