Cronaca

In appello la pubblica accusa chiede sedici anni ciascuno per Paolo Arrigo ed Elizabete Petersone

GENOVA 11 OTT. 2011 - Accadde in un brutto pomeriggio primaverile di due anni fa in un quartiere collinare di Imperia: a seguito di una bestiale serie di maltrattamenti, culminati con un calcione che gli spappolò fegato e milza, fu ucciso il piccolo Gabriele Petersone, neanche due anni, figlio di una giovane donna lettone, immigrata in Italia in cerca di fortuna, e di un imperiese che però non lo ha mai voluto riconoscere. [MORE]


Nell'appartamento, teatro dell'omicidio, la donna dell'Est conviveva con un giovane commerciante, appartenente ad una nota famiglia del capoluogo dell'estremo Ponente ligure, Paolo Arrigo che dopo poche ore, insieme alla madre, fu accusato dell'omicidio. Per Gabriel, invece, nonostante un disperato trasferimento all'ospedale di Imperia non ci fu nulla da fare. In sede di esame autoptico della piccola salma, il professor Canepa di Genova asserì di essersi trovato di fronte ad un omicidio consumato con una ferocia bestiale. Secondo l'accusa i segni premonitori che tra la giovane lettone ed il piccolo Gabriel il rapporto non fosse sereno c'erano tutti: l'infante già era stato visitato qualche giorno prima in ospedale per una serie di allarmanti contusioni riportate, secondo Elisabete, in occasione di una caduta in casa. Qualcuno arrivò ad ipotizzare che se i servizi sociali di Imperia fossero intervenuti con tempestività si sarebbe potuta evitare questa tragedia.


Di contro la difesa di Arrigo, rappresentata dagli avvocati Ditta di Imperia e De Nardo di Torino, sostenne da allora che il loro difeso non poteva trovarsi nella casa in cui conviveva con la Petersone al momento dell'aggressione letale al piccolo in quanto ancora al lavoro. Nonostante tutto in primo grado sia Elisabete Petersone che Paolo Arrigo furono condannati ad undici anni di reclusione ciascuno. Sentenza considerata troppo mite secondo molti soprattutto nei confronti di Elisabete Petersone, allora rappresentata da due noti avvocati romani per diretto interessamento dell'Ambasciata lettone in Italia.


In primo grado la donna slava accusò Arrigo di aver sferrato il calcione mortale a suo figlio. In Appello a Genova, venerdì scorso, il Procuratore Generale Luigi Cavedini Lenuzza ha chiesto per entrambi gli imputati una condanna a sedici anni di reclusione ciascuno. “ Sono troppo pochi undici anni di reclusione, quali quelli comminati ad Imperia in primo grado, per espiare una colpa così grande” ha detto Cavedini Lenuzza. Secondo l'avvocato Musetti di Torino che difende Elisabete Petersone, dopo che i due Principi del Foro romani sono stati misteriosamente liquidati, la sua assistita è invece innocente perché ha dimostrato, portando a termine la gravidanza nonostante una condizione di solitudine, un grande amore per la sua creatura. I difensori di Arrigo invece hanno continuato a protestare l'assoluta estraneità ai fatti del loro assistito e contestano la perizia autoptica eseguita dal dottor Canepa.


A sorprendere, però, venerdì scorso è stata proprio Elisabete Petersone. In sede di dichiarazioni spontanee alla Corte ha detto di aver mentito in primo grado quando ha accusato Arrigo di aver sferrato il calcio mortale a suo figlio. “In realtà non l'ho visto compiere quel gesto” ha detto. Venerdì prossimo, quattordici Ottobre, la Camera di Consiglio al termine della quale verrà letta la sentenza d'Appello.
Sergio Bagnoli