Immobile locato, rumori intollerabili e responsabilità del proprietario dell'immobile
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COSENZA, 10 LUGLIO - Nel caso delle immissioni sonore che superino la soglia di tollerabilità che originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 16407/2017, depositata il 4 luglio. [MORE]
Il fatto. Due coniugi convenivano, innanzi al Tribunale competente, la società, in qualità di gestore dell’esercizio pubblico (nel caso di specie una birreria), ed il proprietario dell’immobile locato per sentir accertare che le immissioni sonore nella loro abitazione e provenienti dal citato esercizio pubblico eccedevano i limiti della normale tollerabilità e per sentir condannare i convenuti, in via solidale, ad eseguire le opere necessarie a mettere a norma il locale ed evitare la produzione di immissioni sonore oltre i limiti consentiti, nonché al risarcimento del danno biologico e morale subito dagli stessi attori a causa delle suddette immissioni. Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti, in solido, a corrispondere a ciascuno degli attori la somma di Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico e di Euro 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale.
I convenuti impugnavano l’avversa sentenza innanzi alla Corte d’Appello territoriale che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava cessata la materia del contendere su tutte le domande diverse da quelle di risarcimento dei danni, atteso che il pub - birreria era stato chiuso circa due mesi prima della notifica dell’atto di citazione innanzi al Tribunale. Altresì, veniva esclusa la responsabilità del proprietario dei locali dal momento che la produzione delle immissioni sonore intollerabili non era a lui addebitabile.
Avverso l’impugnata sentenza, i due coniugi proponevano ricorso per cassazione.
Innanzitutto i ricorrenti lamentavano il fatto che la chiusura del locale non sarebbe stata idonea a determinare la cessazione della materia del contendere, sussistendo l’interesse degli attori ad ottenere un provvedimento volto ad impedire la produzione in futuro di immissioni sonore oltre i limiti consentiti. Gli Ermellini riaffermavano quanto sostenuto dalla Corte d’appello che in relazione alla domanda di inibitoria e di adozione delle necessarie misure per rendere tollerabili le immissioni sonore proposta nei confronti del proprietario dei locali, pur facendo impropriamente riferimento alla cessazione della materia del contendere, che aveva natura meramente processuale, ed era riconducibile all’estinzione del giudizio in conseguenza del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale ivi dedotta aveva in effetti esaminato la domanda nel merito, ritenendola infondata. E ciò non soltanto sul rilievo che le immissioni erano cessate prima della proposizione della domanda stessa, in conseguenza della cessazione dell’attività commerciale, ma pure sulla base della valutazione della natura delle immissioni e dell’individuazione della fonte di inquinamento acustico, giungendo alla conclusione che la rumorosità non fosse imputabile a carenze strutturali dell’immobile ma a comportamenti riconducibili ai gestori dell’attività commerciale ivi svolta.
Altresì i ricorrenti censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso la responsabilità del proprietario dell’immobile posto che egli aveva già ricevuto diverse lamentele dai vicini, prima della notifica dell’atto di citazione, ed aveva omesso di intervenire per impedire il protrarsi della situazione. La Suprema Corte premetteva che l’azione reale diretta all’accertamento dell’illegittimità delle immissioni sonore e alla realizzazione delle necessarie modifiche strutturali, proposta nei confronti del proprietario dei locali da cui tali immissioni prevenivano, doveva rimanere distinta dalla domanda verso un altro convenuto ex art. 2043 c.c. proposta per il risarcimento del danno personale subito. Quest’ultima azione era infatti retta dei principi della responsabilità aquiliana ed era proposta nei confronti del soggetto individuato sulla base del criterio dell’imputazione della responsabilità e quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito, in caso di colpa o dolo, e del custode della cosa allorché il criterio di imputazione fosse il rapporto di custodia ex art. 2051 c.c.. Nel momento in cui le immissioni intollerabili originassero da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. per i danni da esse derivanti poteva essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo avesse concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi. Nel caso in esame, secondo il Supremo Collegio, correttamente la Corte territoriale aveva escluso la responsabilità del proprietario dell’immobile in quanto estraneo rispetto al fatto dannoso, come risultava dalle circostanze di fatto e dalle acquisizioni probatorie.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione respingeva il ricorso e condannava i ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese del giudizio di legittimità.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express