Il Sud ed il nuovo anno, tra delusioni, precariato e prospettive future
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AVELLINO, 31 DICEMBRE 2011 - Siamo qui, giunti all'ultimo dell'anno. Il buon 31 Dicembre che chiuderà 365 giorni di alti e bassi, vittorie e sconfitte, gioie e dolori. È proprio in questo giorno, dunque, che la gente tira le somme, e affida le proprie speranze in un anno migliore. Perchè si sà, se proprio bisogna affidarsi al caso, è meglio non averlo avverso.[MORE]
Quello che ci accingiamo a salutare è stato uno degli anni più difficili e cupi per l'Italia e gli italiani. Eppure è strano, era proprio quello dell'anniversario dei centocinquant'anni dell'Unità; non tutti, purtroppo, hanno sentito l'importanza di questa ricorrenza, ed hanno contribuito ad alimentare un clima di tensioni e di divisione sociale. Seppur triste ammetterlo, bisogna guardare in faccia alla realtà: l'Italia, la nostra beneamata terra, oggi più che mai, è tutt'altro che unita.
Nord da una parte, Sud dall'altra. "Polentoni" e "terroni", usando dei voglarismi. Un clima dove nessuno accetta l'altro, in un controproducente tutti contro tutti che non ha fatto altro che alimentare una diatriba che sembra destinata a perdurare nel tempo. Forze politiche in primis, con la Lega, annunziatasi portavoce della parte settentrionale della nostra penisola dopo il fallimento del Pdl, a sventolare la bandiera di uno stato a parte, uno stato che non esiste, utopico, che nessuno vuole, in realtà nemmeno loro. Solo che ancora non lo sanno.
Lasciamo da parte i guai degli altri, che tra la crisi e l'alluvione di Genoa ce ne sono tanti anche lì, e guardiamo ai nostri. A quelli di un Sud che soffre la crisi con la lente d'ingrandimento. A chi nessuno ha dato nulla, anzi ha tolto. Allo Stato, che si è completamente dimenticato che ci siamo anche noi, che siamo lo zoccolo duro di questa nazione, quello che lavora per davvero, che non si perde in chiacchiere e manda avanti l'economia italiana tra licenziamenti, lavoro in nero, camorre e condizioni da fame.
Laddove la morsa della crisi si è fatta sentire di più, se ne vedono i drammatici effetti. L'Irisbus di Flumeri, prima tra tutte, ha sventolato bandiera bianca, causando migliaia di licenziamenti di padri di famiglia che ora non sanno più cosa fare non per assicurare un futuro ai propri figli, sarebbe un sogno, ma quantomeno, un pasto caldo.
Stessa sorte è toccata a Trenitalia: grazie agli speciali di Servizio Pubblico, è stata presentata la tragicità della situazione, tra treni stracolmi con persone costrette a stare all'impiedi per sette ore di fila e servizi igenici da terzo mondo. Se ci aggiungessimo i ferrovieri e i macchinisti che hanno perso il posto, scriveremmo "La storia infinita 4".
L'alluvione di Messina poi ha evidenziato definitivamente il totale disinteresse del Governo per la "questione meridionale". Ha lasciato morire tante persone, giunte lì per dare una mano laddove era stesso l'impegno dello Stato a mancare. Non dimentichiamo mai il coraggio ed il sacrificio di Sandro Usai. Noi non siamo come loro, non facciamo come loro: noi non dimentichiamo chi ci aiuta.
A coronare il tutto, la sempre più difficile condizione di noi studenti universitari, costretti a destreggiarci tra tagli al budget, orari impossibili, corse dei pullman eliminate causa crisi, borse di studio ridotte all'osso e prospettive lavorative post laurea pari allo zero. Qualcuno potrebbe chiedersi: perchè devo pagare una crisi che non ho causato io? Non potremmo dargli torto.
Come se non bastasse, dal nuovo anno saremo sempre più tassati, a combattere contro un caro vita alle stelle, simboleggiato dall'aumento dell'Iva e dalla parabola ascendente dei prezzi della benzina, che almeno qui al meridione hanno raggiunto cifre record (1.725 per il senza piombo, 1.700 per il diesel).
C'è un attimo da riflettere prima che scocchi l'ora X: il nostro paese, ma prima ancora noi, siamo destinati a crollare miseramente, a scivolare nel dimenticatoio. È solo un caso che l'ultimo esponente politico degno di essere chiamato tale che si è davvero interessato a noi fu Sandro Pertini, in tragiche circostanze? Dobbiamo aspettare un altro 23 Novembre 1980 in Irpinia prima che qualcun altro si affacci un momento e ci chieda: "Tutto bene?". Fino a quando permetteremo che la gente delle nostre città, dei nostri paesi, amici e parenti vadano via costretti in cerca di una vita migliore o, quantomeno, "meno peggiore" che in questo inferno?
Bisogna lottare, e credere soprattutto che insieme possiamo rialzarci e costruire un nuovo domani. Non tra un mese, non tra una settimana, né tra due giorni. Adesso, già allo scoccare della mezzanotte. Il 2012, deve essere l'anno della nostra rinascita.
Nicola Capolupo