Fantasticherie del cuore
Il sipario da aprire
L’uomo è come si fosse seduto tranquillamente nella platea del teatro della vita. Il suo interesse arriva spesso fino al proscenio. In questo spazio costruisce il suo impero, le sue prospettive, i suoi trofei, ignorando il resto, trascurando la parte principale che è il palcoscenico. Il sipario rimane perciò chiuso e l’artista a metà rinuncia di misurarsi con le cose del cielo, fasci di luce negati alla quotidianità.
Si esclude senza appello l’uomo spirituale protagonista sul palcoscenico dell’anima umana e prende sempre più forma l’uomo naturale. Per il teologo del Signore, senza mezzi termini, tutto questo significa che “il fine soprannaturale viene sostituito con un numero infinito di fini terreni, vani, stolti, insipienti, effimeri, frivoli, insignificanti”.
La vita continua e chi non prega vive comunque e a modo suo vive anche bene. Il problema non è più se organizzare una battaglia con i mezzi ultra telematici contro chi non crede. Niente nuovi scudi crociati, magari sulla custodia colorata dello smartphone. Ognuno sia libero di percorrere il suo sentiero di fede. In questo quadro così chiaro il cristiano che vive dentro di sé la Parola, qualsiasi sia il ruolo occupato nelle articolazioni della società in cui opera, sa che deve saper testimoniare il messaggio salvifico di Cristo e aiutare il prossimo salvandolo e portandolo alla conversione del cuore.
I semi da gettare sono molti, provenienti sempre da parole e gesti chiari e rivolti all’altro senza pregiudizi e calcolo alcuno. La vita è una partita quotidiana dove vincere per un credente significa riuscire a tradurre in atti concreti le pagine assunte del vangelo, sollecitando l’interesse di chi ce l’ha con Dio o non crede in niente. Perdere invece, per chi crede e non, vuol dire cadere nella trappola dei fini terreni, proclamando l’effimero e il consumismo che tutto concede protagonisti assoluti dei nostri tempi.
La gente deve capire che non sempre vivere con tutti i servizi terreni, le comodità, i diritti conquistati oltre natura, senza essere mai stati apostoli pescatori e missionari stabili, comporti l’acquisizione di un modello esistenziale personale che produca felicità e benessere. Nell’immediato forse si! L’uomo è però anche il dopo, non solo il prima.
Nessuno può stare in Platea convinto di dominare il mondo; non può recitare la sua parte sul proscenio, ignorando che dietro le spalle c’è il palcoscenico della vita, quello vero, che si connette con il cielo e permette all’uomo nell’obbedienza al suo Signore, di definire tutto ciò che da equilibrio e giusto contrappeso alle cose attorno e tanta riconciliazione tra le folle distratte e telecomandate dalla pressione mediatica e da quella virtuale.
L’essere umano giorno per giorno svende le sue capacità soprannaturali o li traduce in falsi giochi pericolosi per indebolire chi già sta per terra e fa fatica a rialzarsi. Intanto cresce l’inesistente e tutti si trovano campioni di qualcosa, pur se si addormentano in platea tra mille novità futili e colorate da poter continuare a sognare ognuno per sé. La scienza è già a disposizione di questa nuova avventura. L’uso quale sarà? Ecco le parole del teologo in proposito:
“Oggi tutta la scienza è al servizio di questi fini inutili, che non elevano l’uomo verso il cielo. Anzi lo inabissano sempre di più verso il vuoto, il grande vuoto, perché lo privano di ogni dimensione soprannaturale, eterna. Un male non viene mai da solo e neanche un vizio cammina in solitudine. Un male porta con sé molti altri mali e un vizio è accompagnato anch’esso da una schiera imponente”.
Questo mondo fittizio, che soggiorna dinnanzi al sipario chiuso del suo scintillante teatro, cerca l’ebrezza interiore e il danno delle tante dissipazioni giornaliere non nella preghiera e nella comunione terrena e divina, ma nella sua mascherata realtà imbottita dagli affanni della vita.
Entrarvi dentro è una cosa difficile, a volte drammatica. È lì che puoi anche imbatterti nel labirinto imprevedibile della droga e dell’alcool di ogni specie, nella bugiarda convinzione personale che una “loro accurata porzione” distrugga i propri fallimenti e apra strade nuove su cui sia possibile incamminarsi al pensiero di essere meglio di quello che si era!
La teologia sul tema non fa sconti, non bleffa, non recita, non si commuove, non si altera, ma descrive per il bene di chi si droga e si ubriaca quanto si sviluppa attorno. Vale la pena leggere queste parole:
“Con la droga non si è più padroni del proprio corpo. Vengono liberati gli istinti più brutali. Si è capaci di qualsiasi delitto. Ma oggi c’è un modo di sballare ancora più a basso costo. È l’assunzione di alcool fino a perdere l’uso dei sensi, fino ad entrare in coma. I danni fisici e psichici sono oltremodo incalcolabili. Un giovane può compromettere per sempre il retto uso del suo corpo e del suo spirito. Ognuno deve però sapere che è indegno per una persona creata ad immagine e a somiglianza del suo Dio e Signore consegnarsi alla droga e all’alcool”.
Un monito quest’ultimo duro senza orpelli ricamati che apre però alla gioia e alla vera dignità cristiana della vita di ognuno, capace, se condiviso dalla propria platea, di salire come al solito sul proscenio e andare finalmente oltre.
Annunciando questa volta, con un cuore pieno di Dio, l’esibizione dell’opera completa di un uomo del Signore. Il sipario ora si può aprire.
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