Cronaca
Il ricordo di Giovanni Falcone vent'anni dopo la strage di Capaci
FIRENZE, 23 MAGGIO 2012- Sono trascorsi vent’anni dalla strage di Capaci. Quel 23 maggio 1992 l’intera nazione apprese dalle edizioni straordinarie dei telegiornali e delle trasmissioni radiofoniche che il giudice Giovanni Falcone era stato ucciso in un attentato. Cinquecento chilogrammi di tritolo fecero saltare in aria le auto della scorta sull’A29, all’altezza dello svincolo di Capaci, nel comune di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. Persero la vita anche Antonio Montinari, Vito Schifani e Rocco Dicillo, tre agenti della scorta del magistrato. Francesca Morvillo, giudice e moglie di Giovanni Falcone morirà in ospedale poche ore dopo l’attentato a causa delle ferite subite. I feriti, tra gli altri elementi della scorta e i civili, furono ventitre. L’ordigno fu confezionato e posizionato in un tunnel scavato sotto il tratto autostradale da Pietro Rampulla mentre Giovanni Brusca, il sicario scelto da Totò Riina, azionò il telecomando al passaggio delle automobili.
L’Italia dei primi anni 90’ tornava a fare i conti con le bombe e le stragi. L’impatto emotivo per la terribile morte di quel magistrato siciliano con i baffi, dall’aspetto rassicurante che combatteva senza paura la mafia, fu notevole. Giovanni Falcone: una brava persona e un servitore dello Stato. Queste due imprescindibili caratteristiche contraddistinsero il pensiero dell’opinione pubblica italiana. Cosa Nostra si era accanita con efferatezza su un simbolo della legalità. L’attentato del 23 maggio 1992 e, successivamente, la strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino, segnarono l’apice della barbarie mafiosa contro le istituzioni. Falcone fu uno dei maestri della lotta alla mafia. In un’intervista a Rai 3 il giudice dichiarò “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. “.
Giovanni Falcone nacque a Palermo il 18 maggio 1939. Si laureò in Giurisprudenza nel 1961 ed entrò in magistratura tre anni dopo. Dopo essere stato per breve tempo pretore a Lentini, fu sostituto procuratore al tribunale di Trapani per dodici anni. Nel luglio 1978 fu trasferito a Palermo dove fece il suo ingresso nell’Ufficio istruzione. Iniziò la collaborazione con Paolo Borsellino sotto l’egida di Rocco Chinnici. In questo periodo Falcone comprese che per contrastare efficacemente Cosa Nostra risultava fondamentale basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie. Ricostruire il percorso del denaro che caratterizzava i traffici ed avere un quadro completo del fenomeno mafioso.
Sono gli anni che vedono la sanguinaria ascesa dei corleonesi nello scacchiere mafioso. Un’avanzata feroce, contraddistinta da decine di omicidi. Vengono assassinati Pio La Torre (artefice della legge Rognoni-La torre che introdusse il reato di associazione mafiosa nel codice penale) e il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Anche Rocco Chinnici, con il quale Falcone aveva allacciato un forte rapporto professionale e umano, perse la vita in un attentato mafioso.
Antonio Caponnetto sostituì Rocco Chinnici e, ispirandosi alle modalità intraprese nella lotta al terrorismo, ideò la costituzione di un “pool” di magistrati che si occupasse dei processi alla mafia. Caponnetto scelse per il prestigio e l’esperienza accumulata, Giovanni Falcone che gli suggerì Paolo Borsellino, completavano il “Pool antimafia” Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta. La peculiarità del nuovo sistema investigativo si dimostrò efficiente e sancì un autentico modello di riferimento della lotta alla mafia. Dopo l’arresto di Tommaso Buscetta, la sua collaborazione con la giustizia permise di definire la struttura di Cosa Nostra. Le confessioni del "boss dei due mondi" rappresentarono una svolta epocale. L’attività del Pool antimafia portò al primo grande processo contro la mafia. Dopo l’uccisione dei commissari di polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, si iniziò a temere per l’incolumità dei magistrati del pool. Per motivi di sicurezza l’istruttoria del processo avvenne nel carcere dell’Asinara. Il 16 novembre 1986 il Maxiprocesso sentenziò 19 ergastoli e 339 condanne per complessivi 2665 anni di carcere.[MORE]
Le precarie condizioni di salute e i raggiunti limiti d’età di Caponnetto lo obbligarono a lasciare l’Ufficio istruzione, alla cui direzione si era proposto Giovanni Falcone. L’ambiguo ostruzionismo dei colleghi, tuttavia, non gli conferì tale carica. Il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo un’accesa votazione, nominò Antonino Meli. La scelta di Meli, motivata ufficialmente in base all’anzianità di servizio, innescò una serie di roventi polemiche. Insediatosi nel 1988 Meli mutò radicalmente i metodi investigativi del “Pool Antimafia”, la cui esperienza poteva ormai ritenersi conclusa. La lotta alla mafia segnò un significativo passo indietro e i contrasti tra Meli e Falcone furono costanti. Il 21 giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato presso la villa al mare affittata per le vacanze; su questo avvenimento, noto come l’attentato dell'Addaura, ancora oggi non è stata fatta piena luce. Una settimana dopo il fallito attentato, il Csm decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica.
Nello stesso periodo al Palazzo di Giustizia di Palermo aveva preso corpo anche l’oscura vicenda del "corvo": una serie di lettere anonime, che gettavano accuse tanto assurde quanto infamanti sul giudice, i suoi colleghi e importanti esponenti delle Forze dell’Ordine. Nelle missive Falcone veniva millantato di manipolare i pentiti e di aver favorito il ritorno di un pentito, Totuccio Contorno, con l’obiettivo di distruggere i corleonesi, storici nemici della sua famiglia.
Seguì la stagione dei veleni con continui attacchi alla figura di Giovanni Falcone. Di una certa rilevanza e clamore le ripetute polemiche con il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando (rieletto alla carica di primo cittadino palermitano appena due giorni fa), e un giovane Salvatore Cuffaro, all’epoca deputato regionale siciliano. Il futuro Presidente della Regione Sicilia (poi condannato a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa), presente tra il pubblico, prese la parola nel corso di una puntata speciale della trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata alla commemorazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia, e si accanì con veemenza contro una certa magistratura che secondo Cuffaro “ mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente siciliana".
Con il venir meno della compattezza del fronte antimafia, Falcone accettò la proposta di Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero. Tuttavia la vicinanza di Falcone al ministro socialista fu osteggiata da molti partiti politici, in particolare del centrosinistra. In questo clima nel marzo 1992 venne assassinato Salvo Lima, esponente di spicco della Democrazia cristiana siciliana. Con l’omicidio di Lima, Cosa Nostra alzò il tiro e affiorò la serie d’inquietanti legami tra mafia e politica. Venne il tempo della “Superprocura”che avrebbe consentito un’intensificazione del contrasto alla mafia, ma ancor prima che Giovanni Falcone fosse formalmente indicato come candidato al ruolo di “Superprocuratore”, divamparono le ennesime polemiche sulla possibilità di una riduzione dell'autonomia della Magistratura a vantaggio del potere politico. Si giunse a uno sciopero dell'Associazione Nazionale Magistrati e alla decisione del Csm di avanzare, inizialmente, la candidatura di Agostino Cordova al posto di Falcone (che ottenne i numeri per essere eletto Superprocuratore il giorno prima della sua morte).
Poi quell’aereo, con a bordo Falcone, atterrato a Punta Raisi proveniente da Roma, su cui doveva vigere assoluta riservatezza. La strage sull’autostrada alle ore 17.58 del 23 maggio. E quella voragine spaventosa causata dall’esplosione, vera e propria cartolina dell'orrore. Il disperato trasporto in ospedale. Falcone che spira tra le braccia del suo amico e collega, Paolo Borsellino. Il dolore, lo sdegno e la rabbia della gente. Hanno ammazzato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli “angeli” della scorta. L’indomito giudice è stato ucciso da un mostro chiamato Cosa Nostra e dall'invidia, dalla diffidenza e dal tradimento di chi doveva lottare al suo fianco.
Nell'intervista concessa a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone dichiarò profeticamente: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."
Davide Scaglione