Estero
Il nuovo Iraq: un contractor è per sempre
BASSORA (IRAQ), 20 NOVEMBRE 2012 - Torniamo all'incontro di Washington, dove oltre alle armi si è parlato della scarsa reputazione dei contractors, 260.000 dei quali sparsi tra l'Afghanistan e l'Iraq secondo i dati della U.S. Commission on Wartime Contracting.
Mercenari? Eserciti privati? Qual è il vero volto delle Private military and security companies (da ora PMSCs)?
Il mercato della guerra privata. Centomila imprese tra il 2004 ed il 2007 per un fatturato – anno 2010 – che oscilla tra i 700 e gli 800 miliardi di dollari, con un incremento annuo attestatosi ormai sui 100 miliardi. Cifre stratosferiche che ben rappresentano le reali motivazioni di chi di questo business fa parte. La più nota compagnia è l'americana “Blackwater” (nomen omen direbbero i latini), a cui era assegnata la sicurezza in Iraq fino al 2007, quando il “caso al-Nisur” (l'omicidio di 17 civili durante una sparatoria in piazza) fece sì che il governo iracheno ne revocasse l'ingresso. 195 omicidi di civili in due anni – dal 2005 al 2007 - iniziavano ad essere una buona causa per l'espulsione, anche alla luce del fatto che ogni volta ad aprire il fuoco sono stati per primi uomini della Blackwater, come raccontano gli stessi registri della compagnia. Come se non bastasse, a questi vanno aggiunti oltre 200 casi di abusi, torture e violazioni dei diritti umani avvenuti in quello stesso periodo ed analizzati dalla ong spagnola Nova e dalla statunitense Peace for tomorrow. Quando i crimini sono stati puniti, la pena massima è stata l'allontanamento dei condannati dal paese e l'interruzione del rapporto con la compagnia di riferimento.[MORE]
Ma si sa: quando un sistema di potere decade, questo deve essere immediatamente sostituito al fine di evitare vuoti di potere. Così è stato anche per l'espulsione della Blackwater, che ha portato ad una parcellizzazione del sistema nel quale le compagnie rimaste si fanno una concorrenza estrema anche con l'utilizzo di attentati. Come avvenuto lo scorso 4 ottobre quando un'autobomba esplosa ad al-Masur una delle zone più ricche ad ovest di Baghdad prima della guerra del 2003 e diretta ad un convoglio della locale PMSC ha invece fatto – stando all'agenzia France Press - 16 feriti tra civili e militari e quattro vittime civili. Da qui è dunque facile intuire il perché di una così forte richiesta di armi leggere per il mercato interno, che alcuni politici locali – su consiglio dalla lobby statunitense delle armi, la National Rifle Association, come riportato dall'”Osservatorio Iraq” – vorrebbero regolare sulla falsariga del Secondo Emendamento americano, permettendo la detenzione di un'arma per ogni famiglia a patto che questa passi attraverso la registrazione presso una stazione di polizia.
La società civile, organizzatasi nell'Iraqi Civil Society, ha lanciato un appello per contrastare l'impunità e la eccessiva libertà d'azione dei contractors, che in lotta per l'accaparramento di progetti e finanziamenti, stanno sempre più legandosi ai partiti politici, così che sembra opportuno chiedersi quanto siano realmente libere le elezioni irachene e quanto forte sia l'ingerenza-influenza dei contractors sulla vita politica del Paese.
«Queste compagnie vengono da molte parti del mondo e hanno gioco facile a trovare occupazione in Iraq visto che il governo non riesce a garantire sicurezza e protezione nemmeno per se stesso, con la conseguenza che anche i ministri e i parlamentari si rivolgono alle compagnie private» dice Felipe Daza Sierra di Nova a “Osservatorio Iraq”, evidenziando come «il problema è che l'industria militare, tecnologica e della sicurezza si sono alleate per fare affari d'oro in Iraq, con profitti superiori persino a quelli delle industrie petrolifere».
Il “manifesto dei non-allineati”. «Gli Stati devono porre fine all'appalto esterno e alla delega delle prerogative statali esclusive[...]Noi supportiamo una convenzione internazionale vincolante che obblighi gli Stati a regolare la condotta delle PMSCs, che ponga fine all'impunità dei contractor privati e preveda vie di ricorso giuridico per le vittime di abusi». È questo l'appello lanciato dall'Iraqi Civil Solidarity (ICSSI) in collaborazione con “Un ponte per...”, “Rete Italiana per il Disarmo” e “Mani Tese” dinanzi al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite riunitosi a Ginevra dal 13 al 17 agosto scorso. Scontato il veto degli Stati Uniti, un po' meno lo è stato quello di Bruxelles, da sempre schierata per il rispetto dei diritti umani. Di chi, non è dato sapere, anche perché il veto europeo diventa più comprensibile alla luce degli interessi dei paesi europei nella privatizzazione della guerra, con sicurezza armata, scorte, logistica, etc., fornite ai servizi diplomatici proprio dalle compagnie private in un sistema che, qualora svanisse, sposterebbe i costi sulle casse del contribuente, recando seri danni alle casse degli Stati europei.
Interessante, inoltre, notare come proprio in sede sovranazionale si sia formata un'asse di “non-allineati” che, seppur su piani naturalmente diversi, vede le organizzazioni non governative sullo stesso fronte di paesi come Cina, Russia e Venezuela, che si sono detti a favore di una regolamentazione dell'operato dei contractors.
Bagdad, tra Rwanda e Città del Messico. Un paese in cui sempre più forti si fanno gli scontri etnici tra sciiti e sunniti ed in cui la classe partitica - e dunque la politica e le istituzioni – subiscono sempre più l'influenza dei contractors. A ciò si aggiunge il profluvio di armi che – tra mercato legale ed illegale – sta invadendo le strade di Baghdad, Mosul o Bassora. Eccola l'immagine più nitida dell'attuale situazione nell'Iraq “liberato”, a metà strada (storica) tra il Rwanda del genocidio tutsi e il Messico della guerra interna dei cartelli della droga.
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[parte 1: Iraq, il paradiso dei Signori della guerra]
(foto: Erbil, maratona 2012. Fonte: unponteper.it)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]