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"Il mondo di Arthur Newman" di Dante Ariola: un moderno Mattia Pascal in cerca di se stesso
NAPOLI, 9 SETTEMBRE 2013 - “Vivo alla morte, ma morto alla vita” [Il fu Mattia Pascal - Luigi Pirandello]
Sembrano queste, le parole giuste per descrivere Wallace Avery (Colin Firth): un uomo condannato ad una mediocrità che sembra irreversibile oltre che insopportabile.
Ogni persona o cosa che lo circonda ne è un promemoria: ha una compagna che non ama, un lavoro inappagante, un figlio appena adolescente col quale non si rapporta e un hobby, il golf, come scusa per non farlo.
Wallace, stufo di se stesso, abbandona la sua vecchia vita, compra dei nuovi documenti, una decapottabile e parte alla volta di Terre Haute, nell'Indiana, per ricominciare daccapo come Arthur Newman, un golfista professionista.[MORE]
Durante il viaggio “on the road” verso la sua nuova vita, Wallace/Arthur incontra “Mike” (Emily Blunt), una ragazza “interrotta” con una storia tragica che, come lui si nasconde dietro a qualsiasi identità, con l’unico scopo di annullarne la propria.
Nel primo lungometraggio del noto regista pubblicitario Dante Ariola, Il fu Mattia Pascal incontra Uno, Nessuno e centomila, due celebri opere pirandelliane che sembrano descrivere alla perfezione i protagonisti del mondo di Arthur Newman.
Inizialmente, tra silenzi rumorosi e fotogrammi immobili, Arthur e Mike si legano inconsapevolmente come se non avessero scelta. Decidono che insieme possono essere chiunque desiderino.
Si perdono tra i mille volti di un’America superficiale che sembra assecondarli senza fornirgli imprevisti. Si intrufolano in casa di sconosciuti, mangiano il loro cibo, vestono i loro vestiti, scimmiottano le loro vite, rubano la loro identità, poi l’ abbandonano, e vanno in cerca di quella successiva.
Vivono le loro giornate come anime dannate in cerca di corpi da abitare, fino a quando la loro unione fisica e mentale non li porta a specchiarsi l’uno dentro l’altro, a identificarsi.
É a questo punto che le maschere dietro cui nascondersi finiscono, e la fuga si trasforma in un percorso nuovo alla fine del quale ci sono le emozioni da cui si è scappati e tutto l’amore, ridotto in gocce, che non si è riusciti a dare. Arthur è così inondato dal vortice della responsabilità da cui non vuole continuare a scappare e trascina con sé Mike.
Entrambi fuoriescono dal loro guscio e comprendono che i sentimenti non sono sensazioni da cui scappare ma a cui tornare.
Arthur per la prima volta indaga nel vero mondo di Wallace Avery, fatto di blocchi emozionali e insicurezze, con lo stesso tempismo con cui lo fa il figlio che lo crede morto.
Il mondo di Arthur Newman è un mondo triste, rappresentato sul grande schermo con colori opachi, tempi lenti e sguardi intensi che chiedono aiuto. È abitato, inoltre, da due bravi attori che, insieme, sembrano perfettamente avvolti in una delicata sintonia decadente.
Il film con la sua conclusione improvvisa, lascia lo spettatore pervaso da una sterile malinconia. L’evoluzione emotiva dei personaggi arriva tiepidamente, senza turbamenti e memorabili entusiasmi.
Un messaggio più di tutti però giunge diretto e preciso: uno degli errori più tragici e frequenti dell’essere umano è quello di sottovalutare ciò che si ha fino a quando non lo si ha più.
O come direbbe Arthur Newman quello di “perdere ciò che si pensa di non volere e poi passare il resto della vita a cercare di riaverlo”.
Titolo originale: Arthur Newman
Lingua: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2012
Genere: commedia, drammatico
Regia: Dante Ariola
Sceneggiatura: Becky Johnston
Produttore: Mac Cappuccino, Becky Johnston, Brian Oliver, Alisa Tager
Casa di produzione: Vertebra Films, Cross Creek Pictures
Distribuzione (Italia): Videa - CDE
Interpreti e personaggi: Emily Blunt, Colin Firth
Marcella Cerciello [www.cinemarcy.blogspot.com]