Editoriale

Il maschilismo è vivo e lotta contro di noi

ROMA, 27 DICEMBRE 2012 - Periodicamente capita che qualche integralista fanatico si spinga un po' oltre ciò che comunemente siamo disposti ad accettare. Il copione, a grandi linee, è sempre lo stesso: si esprime una fesseria bella grossa; la si sostiene con argomentazioni che farebbero accapponare la pelle a qualsiasi persona mentalmente normodotata; ci si indigna; si fa finta di stupirsi dell'indignazione di chi si permette di ribattere e di far notare l'assurdità delle fesserie di cui sopra; si passa oltre fino alla prossima volta.

Capita talvolta che le suddette fesserie abbiano come oggetto di discussione la donna, alla quale chiunque, non avendo alcun titolo per farlo, continua imperterrito a voler insegnare come comportarsi, come vestirsi, cosa fare e cosa pensare, ritenendo forse che essa sia un essere incapace di pensiero autonomo e bisognosa di continue reprimende. Questa volta l'oggetto di discussione è il femminicidio, cioè l'uccisione delle donne compiuta dagli uomini e, per estensione, la violenza maschile ai danni delle donne. Violenza di genere.[MORE]

La vicenda in questione è ormai nota: un prete di Lerici, don Piero Corsi, ha diffuso un volantino che riprendeva un articolo scritto qualche giorno prima dal giornale ultra-cattolico Pontifex. Articolo il cui titolo non lascia granché spazio all'immaginazione: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?”. I media hanno evidenziato la notizia e da più parti è arrivato un coro di indignazione e di condanna nei confronti del prete che ha diffuso quell'articolo. Minore indignazione – va detto – c'è stata nei confronti di quell'articolo e del giornale su cui è stato pubblicato. Questa mattina le agenzie hanno diffuso la notizia di un passo indietro di don Corsi, sostenendo che egli si sarebbe scusato per quel messaggio e sarebbe stato pronto a lasciare la tonaca. Don Corsi si è poi affrettato a smentire le agenzie, facendo sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi, ma di voler prendere un periodo di riposo per superare lo stress di questi giorni causato, a suo dire, dai media che lo avrebbero dipinto come un orco. Nessun passo indietro, quindi.

Lo ammetto: non sono particolarmente interessata alle sorti di Don Corsi. Anche se il suo passo indietro fosse stato reale, avrei continuato comunque a dissentire dal suo gesto e a considerarlo non solo aberrante, ma anche pericoloso. Quello su cui, invece, bisognerebbe continuare a discutere è proprio il contenuto di quell'articolo, nonché il pensiero che ne è alla base e che ne costituisce un fertile terreno sul quale tali aberrazioni riescono a crescere indisturbate.

L'articolo, è evidente fin dal titolo, sostiene che la violenza (e l'uccisione, trattandosi nello specifico di femminicidi) ai danni di una donna sia anche colpa della donna. Fortunatamente siamo abbastanza svegli per renderci conto di quanto tale tesi sia aberrante e siamo ormai abituati a riconoscerla come tale. A permettere questa consapevolezza, è bene ricordarlo, hanno contribuito le centinaia di persone che quotidianamente da qualche tempo hanno meritoriamente posto al centro del dibattito pubblico la questione della violenza di genere. Se oggi siamo in grado di indignarci nei confronti di chi sostiene che la violenza di genere è parzialmente colpa della donna, è anche grazie a loro, che con costanza e impegno sono riusciti e riuscite a far emergere come pubblica una questione che altrimenti sarebbe rimasta tutta privata.

Non ci soffermeremo a discutere delle argomentazioni utilizzate a sostegno della tesi secondo cui la colpa dei femminicidi sia in parte anche della donna. Si commentano da sé. Non staremo nemmeno a ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio: una donna si comporta, si veste, pensa, parla e agisce come meglio crede, e nulla di ciò che dice o fa può mai essere usato come autorizzazione o giustificazione a commettere una violenza di qualsiasi tipo contro di lei. Per essere ancora più chiari anche con chi, a quanto pare, non riesce ancora a comprendere il concetto: una donna potrebbe anche andare in giro nuda. Ciò non autorizzerebbe a stuprarla. Sembra banale ricordarlo, ma evidentemente c'è chi ancora pensa che il corpo femminile sia proprietà dell'uomo. Ciò su cui, invece, sarebbe opportuno aprire una discussione non è solo l'esternazione di un'idea esasperata e violenta – e la tesi sostenuta dall'articolo in questione lo è poiché, accusando la vittima, giustifica di fatto il carnefice – la quale è ben riconoscibile e unanimemente condannabile, ma il terreno sul quale questa idea è nata.

Un terreno che, senza troppi giri di parole, ci sentiamo di poter classificare come maschilismo. Un maschilismo che non si esprime solo nelle sue forme più esasperate, nella violenza o nella giustificazione di essa, ma che quotidianamente permea la vita di chiunque. Dovremmo cominciare a pensare a quante volte ancora oggi ci capita di imbatterci in discorsi che sottintendono un'idea secondo la quale la donna sia da considerare o nel suo presunto ruolo di “moglie e madre”, o in quello di “oggetto sessuale”. Discorsi nei quali ci imbattiamo tutti i giorni, e che spesso consideriamo innocui, accogliendoli talvolta con una semplice risata, perché di fatto non esprimono in sé alcuna idea violenta ma solo una concezione del mondo che, purtroppo per noi, fatichiamo a superare. Dovremmo (ri)cominciare, invece, a renderci conto che il maschilismo è vivo e lotta contro di noi, e non sparirà tanto facilmente, specie se non riusciamo a individuarlo.

(foto da Atlasweb)

Serena Casu