Cronaca

Il giornalismo televisivo. Intervista a Vito Foderà

ROMA, 17 DICEMBRE 2012 – Vito Foderà è un giornalista televisivo nato a Messina nel 1981. Approda al giornalismo televisivo lavorando a Sky Tg 24, Rai 4, Current, Exit e Piazzapulita. È membro dell’associazione daSud onlus e segue progetti di documentazione e informazione su temi inerenti l’antimafia sociale.[MORE]

Quando e com’è nata la passione per il giornalismo?

La passione non è mai stata per il giornalismo in senso stretto. Il giornalismo è stato e continua ad essere uno spazio, uno strumento, un linguaggio che mi permette di raccontare le cose. La passione per il racconto è nata da bambino, ascoltando i racconti, i cunti, dei miei nonni, del mio padrino di battesimo. Ammiravo quella capacità di ricreare mondi in differita, di rappresentare luoghi, momenti e persone, fatti e scenari attraverso le parole e la memoria. Mi affascinavano e soprattutto mi istruivano. In un certo senso mi sono rimasti dentro i canoni di quei racconti e li ho poi sperimentati, a modo mio raccontando il presente e non il passato. Così mi sono innamorato della cronaca. Qualcuno ha pensato che potessi farlo e ci ho provato.

Nato a Messina, sei emigrato, perché?

La risposta corretta sarebbe semplicemente: a 19 anni ho deciso di studiare Scienze Internazionali e diplomatiche, un corso di laurea che non era attivo in nessun ateneo siciliano e mi sono trasferito. Ma la domanda parla di emigrazione.
Se avessi cambiato 5 città, 12 case e 4 regioni visitando 2 continenti in 12 anni ma fossi nato a Milano mi avresti dato del cosmopolita. E se fossi nato a Tunisi sarei stato un clandestino o un apolide. È così, non è la migrazione che qualifica l'emigrante ma il punto di partenza del suo viaggio. Io mi vedo come una persona che si muove, per cambiare aria, per conoscere, vivere nuovi contesti, alla ricerca di nuovi stimoli e opportunità. È una possibilità e dovrebbe essere vissuta normalmente. Ho la fortuna di potermi spostare liberamente, ho un passaporto e vivo nell'Unione Europea, ma ovviamente non mi sfugge il fatto che il sud da cui provengo è un posto in cui non tutti vivono liberamente, bisogna decidere (quando la decisione non è un lusso) di restare o partire. E il sud è terra di emigrazione ancora oggi perché lo spread non va calcolato tra chi parte e chi resta ma tra chi parte e chi arriva. E quelli che attrae sono pochissimi rispetto a quelli che caccia e respinge. Ma se fossi nato a Milano o a Roma forse avrei fatto il viaggio nella direzione opposta, chissà.

Approdi al giornalismo televisivo lavorando per Sky Tg 24, Rai4, Current ed Exit. Perché hai deciso di dire si a questo tipo di giornalismo?

Perché la televisione è una scatola magica. Il giornalismo televisivo, quello che ho scelto, non può fare a meno della creatività. E infatti ho lasciato una all news per sperimentare man mano linguaggi più complessi dove le notizie vanno trovate ma soprattutto vanno raccontate. E questo mi diverte. Il mio lavoro, al netto delle difficoltà, è molto divertente. E sarà il mio lavoro finché mi permetterà di continuare a imparare, conoscere e divertirmi.

Cos’è, secondo te, oggi il giornalismo televisivo e come dovrebbe essere?

È un linguaggio, complesso e delicato. Obbliga a una conoscenza e a un uso di tutti i linguaggi per crearne uno nuovo. In un servizio c'è il testo, la fotografia, la musica. Tutto è frutto di un ragionamento e di una scelta, tutto conta. Le strutture narrative devono essere costruite con diversi codici per dire tante cose. Ovviamente essere rigorosi su più livelli di comunicazione è più difficile. Accanto a un inviato ci vogliono filmaker e editor, autori e redattori, produttori e tecnici. È un giornalismo di squadra, così per lo meno l'ho vissuto io finora.
La televisione è potentissima, la manipolazione dei contenuti (intesa come costruzione di un prodotto) è una responsabilità da assumersi tenendo sempre a mente che per molti quello che si vede in tv è la verità e quindi alla verità bisogna attenersi. E poi richiede coraggio, decidendo di dare una notizia perché una notizia va data sempre e comunque, facendo cose nuove anche quando c'è il rischio di non piacere al pubblico, resistendo alla tentazione del vincere facile. Non saprei dire come dovrebbe essere oggi il giornalismo televisivo. Posso provare a farlo.

Entri nella squadra di Piazzapulita come inviato. Per quali motivi hai deciso di farne parte?

Perché ho avuto l'onore di essere invitato a far parte di quello che secondo me è l'esperienza più interessante della televisione italiana degli ultimi anni. Innanzitutto perché si tratta di un esperimento, inviati giovani, autori e conduttore poco più che quarantenni, tutti professionisti da cui ho imparato tantissimo e che raccontano l'attualità senza rinunciare all'approfondimento. Piazzapulita è un programma in costante divenire, che ha capito che per raccontare il cambiamento bisogna essere capaci di cambiare. E sono contentissimo di aver avuto una parte in questo progetto, guidato da Corrado Formigli da cui ho imparato tantissimo, che mi ha permesso di continuare a lavorare con un grande maestro come Alessandro Sortino.
Ma adesso si cambia. Ho lasciato Piazzapulita per una nuova avventura, appena iniziata.

Segui progetti di documentazione su temi legati all’antimafia sociale. Come si pone e come si dovrebbe porre l’informazione nei confronti di questo tema?

Prima credevo che se ne parlasse troppo poco. Oggi credo che se ne parli male. L'antimafia sociale è una pratica politica, non è una categoria di pensiero. È una scelta di campo per chi decide di parlare non di legalità ma di diritti, non di giustizialismo ma di giustizia. Se ci fermiamo agli slogan e ai testimonial rischiamo di appagare il bisogno di sentirci buoni schierandoci dalla parte dei buoni quando invece c'è l'urgenza di fare qualcosa di utile, impegnarsi, capire innanzitutto cosa succede nella società invasa e infettata dalle mafie. Se la mafia è ovunque anche l'antimafia deve essere ovunque e l'informazione non può sottrarsi.

Sei membro dell’associazione daSud. Perché hai deciso di farne parte?

L’associazione daSud nasce nel 2005 per ricostruire memoria, condivisa dal basso e non riconciliata dall’alto, per mettere in rete le competenze, del Sud e per il Sud, per elaborare idee innovative per un futuro sostenibile per il Mezzogiorno e il Paese. È un'associazione che vuole raccontare con le diverse forme espressive il volto migliore del Mezzogiorno. Io l'ho conosciuta nel 2008 e semmai mi chiedo come potrei non farne parte. C'è una frase che diciamo sempre, citando Giuseppe Valarioti, un calabrese onesto ucciso dalla 'ndrangheta: “Se non lo facciamo noi chi deve farlo?”

La criminalità organizzata avrà mai una fine?

Bisogna abbandonare l’idea che sia ineluttabile la presenza della criminalità organizzata. E ognuno deve interrogarsi sul come e sul quando non sul se. Esistono oggi contesti sociali liberi dalle mafie, spazi di libertà che formano una barriera alla pervasiva onnipresenza delle mafie. Bisogna espanderli, tutelarli, potenziarli. Prenderli ad esempio. È un gioco a somma zero, quello che le mafie prendono lo sottraggono a noi. La libertà che noi possiamo conquistare è spazio che sottraiamo alle mafie. Dipende da noi. Sarà il risultato di un percorso di formazione.

Roma è in rivolta, studenti e professori sono scesi in piazza per dire no ai tagli di finanziamenti e alla riduzione dello stipendio. Ciò che è avvenuto nella Capitale si è ripetuto in molte città italiane. Cosa pensi a riguardo?

C'è un cambiamento in atto. Qualcuno ha capito che siamo in pericolo e lo sta dicendo al Paese, a chi lo governa e a chi lo abita. L'urgenza è tale che lo si dice in tutti i modi, ovunque, lo si ribadisce scendendo in piazza al di là delle limitazioni, a distanza di pochi giorni, con la forza dei numeri e le ragioni della realtà delle cose. Sono nato in una famiglia di insegnanti, una categoria che è il termometro di quello che succede in Italia. La scuola è come l'alimentatore del computer di cui oggi nessuno può fare a meno. Serve a tenere accesa una macchina che senza avrebbe poche ore di autonomia. Ha bisogno di essere fissata a una sorgente di energia. Collega 2 sistemi. E il corto circuito oggi è dietro l'angolo.

Gli italiani sono stati chiamati a esprimersi per le primarie del centro – sinistra. Vittoria di Bersani, ma in molti si sono stupiti di come Renzi sia riuscito a guadagnarsi la fiducia di così tante persone.
Perché secondo te? Qual è la differenza tra i due?

Diversi sono i mezzi, i linguaggi, gli interlocutori e le strategie. Non faccio analisi politiche, né osservazioni di merito. Se non fossero stati differenti non ci sarebbe stata a vera contrapposizione che abbiamo visto. E non c'è da stupirsi. Lo stupore in politica, secondo me, è distrazione o ingenuità.

Giulia Farneti