Cronaca

Il giornalismo è la linfa delle democrazie. Intervista a Mauro Sarti

BOLOGNA, 21 AGOSTO 2012 - Mauro Sarti, giornalista professionista, è docente a contratto di Comunicazione giornalistica presso il corso di laurea in Scienze della comunicazione della facoltà di Bologna. E’responsabile dell’ufficio di corrispondenza per l’Emilia-Romagna dell’agenzia di stampa Redattore Sociale e fa parte del consiglio direttivo dell’associazione “Ilaria Alpi”. E’ stato consigliere dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna dal giugno 2007 al maggio 2010.

Perché ha deciso di intraprendere la carriera giornalistica?
Un pò per caso, un pò perchè ho sempre amato scrivere. Ma soprattutto perché credo in tutti i lavori di squadra. Da quello che viene fuori dall’intelligenza collettiva. E il giornalismo, se è fatto bene, è un bellissimo e delicatissimo gioco di squadra.
Lei è giornalista e insegna comunicazione giornalistica, cosa può consigliare a quei giovani che vogliono intraprendere questa strada?
I consigli non servono mai. Tanto più in questo momento, quando nel mondo dell’informazione è in corso una nuova rivoluzione epocale. Paragonabile solo all’avvento dei caratteri mobili di Gutenberg. L’unica e banale cosa che mi viene da dire è quella di seguire le propria passioni e, dal punto di vista tecnico, dotarsi di una profonda formazione multimediale.
Horacio Verbitsky affermava: "Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda", cosa pensa a riguardo?
Non amo le massime e la frasi a effetto. Ne ho lette molte e scartate tutte. Sul senso nulla da dire ma, più facile dirlo che farlo. E nemmeno amo il giornalista che si dipinge tutto d’un pezzo: sono i primi a mentire, quando gli fa comodo.
Giuseppe Fava affermava: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, impone ai politici un buon governo. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, la corruzione e le violenze che non è mai stato capace di combattere”, cosa ne pensa?
Non ho conosciuto Giuseppe Fava, ma ho letto molto di lui e dei suo scritti (articoli, polemiche, testi teatrali…). Ho conosciuto invece suo figlio Claudio, e mi sembra che incarni bene nella sua vita pubblica gli insegnamenti del padre. Il giornalismo, oltre che etico, è una cosa seria e che da respiro e linfa alle democrazie.
Cosa significa oggi informare e quale ruolo ha l'informazione nei confronti della mafia?
Non credo esista una specificità del giornalismo di mafia. Credo che esistano giornalisti venduti, e giornalisti corretti e – talvolta – coraggiosi. Ma la grave precarietà nella quale si trova oggi la professione giornalistica rende però ancora tutto più difficile. Senza editori onesti e trasparenti, senza punti di riferimento, senza maestri, senza soldi, è tutto molto fragile. E un’informazione fragile può poco contro i poteri forti, mafiosi e non.
Ogni giorno molti giornalisti rischiano la loro vita nel quotidiano sforzo di trovare e raccontare la verità, spesso scomoda, in che modo dovrebbero essere tutelati?
Credo che il lavoro di Alberto Spampinato e del Osservatorio “Ossigeno” sia la risposta migliore e più concreta che si possa dare in questo periodo. Tutte le altre, molto spesso, sono solo chiacchiere.
Oggi la mafia non è presente solo nelle terre del sud, ma anche al nord. La capitale è Milano, seguita da Roma, mentre Bologna è al terzo posto con Firenze, Genova e Torino. E’ è un fenomeno molto complesso, insito nell’ambito economico, finanziario, sociale, politico e anche lavorativo. Perché, secondo lei, la criminalità organizzata è estesa ormai in tutto il Paese?
Non ho strumenti per rispondere a questa domanda, se non le mie letture. Ho letto il libro di Giovanni Tizian sull’argomento. Mi è sembrata una eccezionale e coraggiosa inchiesta giornalistica.
Il 23 maggio scorso è stato il ventennale della strage di Capaci e il 19 luglio della strage di via D'Amelio, chi sono stati Falcone e Borsellino per lei?
Per me, che quando vennero assassinati ero un giovane padre, il pensiero vai ai miei figli, a quella radio che ci dava quelle incredibili notizie. Che il loro sacrificio sia di aiuto alle nuove generazioni! Spetta a noi adulti perché questo accada…
Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso in occasione dell’iniziativa “Repubblica delle idee”, organizzata dal quotidiano Repubblica a Bologna qualche settimana fa ha affermato che la lotta alla mafia non è un’utopia; con tenacia e determinazione si può sconfiggere, cosa ne pensa?
Sono ottimista di carattere. E ne ho viste tante. Perché non dovrei credergli?
Michele Polo sostiene che le televisione pubblica viene vista anche come strumento di educazione e di unificazione del Paese, condivide?
La tv come l’abbiamo conosciuta ormai è agli sgoccioli. A malapena autorappresenta se stessa, e la sua tragica fine. Non credo posso unire più granché.
La Legge Bavaglio, fortemente voluta dal PDL, impone il divieto di pubblicare le intercettazioni prima della fine del processo, cosa pensa a riguardo?
Penso che la liberta degli individui debba sottostare a delle regole. Queste regole le fanno gli uomini. E ogni legge è frutto del suo tempo. Personalmente credo che se prima di pubblicare si dovesse aspettare la fine di un processo, l’informazione non farebbe il suo dovere. La magistratura ha un ruolo, il giornalismo un altro. Non sempre chi è innocente per la legge, è una persona rispettabile nella vita. E il giornalismo ha anche il compito di farci capire se una persona è degna di rispetto oppure no.
Si occupa molto di giornalismo sociale, non pensa che si dovrebbe maggiormente, nei quotidiani, dar voce a chi voce non ne ha?
Ho scritto un libro sul tema. Ci credo molto, e credo che ci sia ancora molto da fare. I quotidiani illuminati negli anni ’80 hanno aperto una strada, oggi tocca alla rete – a chi fa informazione in rete - raccogliere questa eredità e rimboccarsi le maniche. Per fare posto alla noia, alle paludate consuetudini, alla pigrizia e ai meccanismi ripetitivi di chi lavora al desk. C’è ancora un mondo che chiede di essere raccontato.[MORE]

Giulia Farneti