Cronaca
Il giornalismo è e deve essere soprattutto investigativo. Intervista ad Antonio Massari
BARI, 30 NOVEMBRE 2012 – Antonio Massari è un giornalista nato a Bari nel 1968. Inviato de Il fatto quotidiano, ha collaborato con la Gazzetta del Mezzogiorno, Repubblica, Il Manifesto, La Stampa e L’Espresso.
Perché hai deciso di intraprendere la carriera giornalistica?
Era un desiderio che coltivavo sin da bambino: sognavo di fare l’inviato di guerra, di viaggiare e avere l’opportunità di vivere un’esistenza avventurosa. Poiché non sono mai stato una persona costante, diciamo che sul giornalismo, un giorno, ci sono semplicemente inciampato. E da allora è davvero diventato una passione. Niente a che vedere con i sogni dell’infanzia. La vera avventura è vivere questo mestiere ora per ora: è un mestiere meraviglioso perché m’insegna ogni giorno qualcosa. Quando riesco a impararla.
Cosa significa oggi fare il giornalista?[MORE]
Significa quello che ha sempre significato: informare e controllare gli altri poteri costituiti. Non dare mai nulla per scontato. È molto più facile a dirsi che a farsi. Ma è questo il nostro mestiere. Niente altro. Abbiamo strumenti di grande potenza nella ricerca delle notizie: banche dati e internet sono fonti inesauribili, a patto di imparare a usarle correttamente, e le potenzialità della comunicazione ci consentono di investigare in modi prima inimmaginabili. Oggi il giornalismo è - e deve essere - soprattutto investigativo. Per il resto bisogna sempre ricordare che siamo al nostro posto per soddisfare i lettori. Soltanto loro.
Renata Polverini si è dimessa. Cosa pensi dello scandalo Lazio?
Renata Polverini s’è dimessa e secondo me ha fatto la scelta giusta. Non avrebbe dovuto nominare altri dirigenti. Dovrebbe invece favorire il più rapido accesso alle prossime elezioni regionali. Lo scandalo Lazio ha delle peculiarità proprie. Ma s’inserisce nel decadimento della politica istituzionale che stiamo attraversando in tutto il Paese. La peculiarità è data dalla possibilità, per i capi gruppo regionali dei partiti, di usufruire di enormi somme come rimborsi per mantenere il rapporto con gli elettori. Cifre spropositate, se consideriamo il tasso di disoccupazione e indigenza di un elevato numero di italiani e non, presenti nel nostro Paese che, purtroppo, a volte – come nel caso di Franco Fiorito (Pdl) e Vincenzo Maruccio (Idv) – sono state utilizzate, almeno secondo le accuse, per fini strettamente personali. La politica, che dovrebbe essere l’amministrazione illuminata e illuminante del bene pubblico, s’è trasformata nella gestione fulminante degli interessi personali di alcuni eletti e delle loro cerchie di sodali.
Caso Sallusti. Cosa ne pensi?
Penso che la diffamazione vada punita. Ma non con il carcere. La legge deve mantenere un equilibrio tra questi due opposti: nessuno ha il diritto di diffamare; tutti possiamo sbagliare in buona fede. A patto di riparare il danno causato agli altri, e di essere giustamente sanzionati per gli errori commessi, la libertà di opinione e di informazione non può essere compressa e compromessa fino alla censura preventiva, causata dalla minaccia del carcere o di pene pecuniarie insostenibili. Difendo il principio che Sallusti possa commettere un errore in buona fede. Non difenderò mai la diffamazione scientifica e consapevole. Ma non potrò mai accettare che la compensazione sociale per una diffamazione possa essere la carcerazione.
Ancora minacce di morte al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Lui non si ferma e va avanti. Sarà il terzo magistrato?
Mi auguro che Ingroia non sia il “terzo” – in realtà, nella nostra storia, le vittime sono molte di più - a pagare la lotta alle mafie. Ora è in Guatemala per una nuova esperienza e mi auguro che il suo ultimo procedimento italiano, quello sulla cosiddetta “trattativa”, possa restituire una verità giudiziaria a un periodo buio della nostra storia. È troppo, invece, augurarsi che i politici degli anni Novanta possano contribuire a restituirci la verità istituzionale sui rapporti tra Stato e Mafia nel periodo delle stragi che ammazzarono Falcone e sua moglie, Borsellino e le loro scorte, più altre decine di vittime. Spero di sbagliarmi, ma i politici non lo faranno, lasciando il compito – come sempre – alla magistratura.
“Il non voto mafioso è un segnale”, il procuratore aggiunto di Palermo ha commentato così l’astensionismo nelle carceri siciliane in occasione delle elezioni regionali siciliane. Sei d’accordo?
Senza alcun dubbio.
Oggi c’è un’area grigia della società costituita da commercianti e professionisti che fanno da intermediari con la mafia. Cosa si dovrebbe fare per impedire che questo avvenga?
Reprimere, innanzitutto, perché è la risposta necessaria e immediata: incrementare, piuttosto che depredare, le risorse pubbliche, per poi destinarle al rafforzamento degli organici delle Forze dell’Ordine, alle dotazioni delle procure, a tutto ciò che è necessario per contrastare le mafie. La vera risposta, però, non può che essere culturale e, dome è evidente, su questo punto il lavoro resta ancora immenso.
La Repubblica ha aperto una campagna a favore della nascita di una legge anticorruzione. Hai aderito? Ritieni sia importante aderire?
Se per adesione intendi l’apposizione della mia firma, no, non l’ho fatto. Per il resto la mia adesione c’è e ritengo che sia importante far sentire la nostra pressione sulla classe dirigente per estirpare la corruzione. Io premo – o almeno ci provo - con i miei articoli. A ciascuno il suo.
Siamo reduci dalle primarie. Un grande afflusso alle urne che ha portato alla vittoria di Bersani, al secondo posto Renzi. Perché piace così tanto? Quale sarà l’epilogo di domenica?
Mi aspettavo una grande affluenza perché il Pd è l’unico partito in Italia, avendo al suo interno la cultura dell’ex Dc e dell’ex Pci, ad aver conservato qualcosa dei vecchi partiti di massa con apparati ancora in grado di mobilitare e smuovere milioni di persone. L’elettorato di Vendola aggiunge una più marcata esigenza generazionale a far sentire la propria voce. I quattro milioni sbandierati però sono stati poco più di tre, uan maggiore trasparenza sui dati sarebbe stata auspicabile. Renzi ha dalla sua la semplificazione della “rottamazione” a sfondo generazionale. Un messaggio semplice che attecchisce per la sua semplicità, ma rischia di esaurirsi in un semplicismo fortemente populista. Vendola ha un pensiero e una dialettica di una nuova sinistra, ma manca un’azione all’altezza delle parole, che renda realmente preferibile la sinistra alla cultura imperante della destra liberista o populista. Dubito che Bersani possa perdere.
Giulia Farneti