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Natalia Berla è l’inconsapevole autrice di un libro. Giovane tossicodipendente, decide di andare a San Patrignano per uscire dal tunnel della droga. Lì scrive delle lettere, successivamente raccolte da sua madre, pubblicate e vincitrici del premio diaristico di Pieve Santo Stefano nel 1990.
Natalia ha quindici-sedici anni quando inizia a drogarsi. La madre, Vittoria Berla, intellettuale protofemminista di famiglia borghese, è sempre molto assente nella vita della figlia, si dedica completamente a un lavoro sul controllo delle nascite per poi cadere in una profonda nevrosi e ritirarsi dal mondo culturale.
Sarà lei a costringere la figlia a partire dopo il diploma per andare a vivere con la nonna. Non riusciva a vivere con quella ragazza sempre più rabbiosa e incostante.
A Milano Natalia lavora in una libreria, lega con chi le dimostra gentilezza e affetto, si affeziona alla nonna e nel suo impiego è preparata e puntuale, ma ancora non riesce a smettere con la droga.
Saranno i cugini, dai quali andrà a vivere dopo la morte dell’anziana, a parlarle di San Patrignano, una comunità conosciuta e apprezzata, dove è possibile apprendere anche un lavoro.
E Natalia decide allora di smettere con gli stupefacenti ed entrerà nella struttura nella primavera del 1987.
Nelle sue lettere si evince la sua instabilità emotiva, la sua profonda tristezza dalla quale nascerà una grande forza. Nei mesi il suo umore cambia, diventa entusiasta, si riscopre capace di gioire di piccole cose, di insegnare, di lavorare ancora con i libri. Scrive a sua madre e ai suoi cari, li rende partecipi dei suoi miglioramenti, finché ricomincia un altro periodo duro e difficile, arriva l’autunno e con esso la depressione. Natalia si sente vecchia, stanca, come se la possedesse di nuovo quel nulla a cui il tossico, affermava, è votato.
Siamo nel 1989 e tutto va a rotoli dopo la morte di un giovane siciliano di ventidue anni: si getta dalla finestra e muore sul colpo. La stessa fine farà l’indomani Natalia. Si butta dalla finestra e la sua vita, a cui si era aggrappata con tutta se stessa negli ultimi mesi, cessa in un istante. Come se le sue ali si fossero spezzate.
Sarà la sua morte a portare la madre a creare questa piccola raccolta e farla pubblicare, perché quella figlia, con cui stava recuperando i rapporti, venisse ricordata per sempre.
E dopo un anno anche lei, mai guarita dalla depressione, muore suicida.
Una storia triste, ancor di più dopo le vicende penali di Vincenzo Muccioli, fondatore della comunità. Figura controversa, accusato di maltrattamenti, plagio religioso, inadeguato sostegno ai tossicodipendenti ed omicidio.
Strutturato in forma diaristica, non si ravvisa una forma stilistica particolare, perché Natalia scrive non per essere pubblicata, ma per raccontare di sé a chi ama, per non sentirsi sola, per darsi forza, per combattere quel gelo che le cresce dentro.
“Spesso soffro ancora di sensi di colpa, a volte vaghi, a volte definiti, a volte penso con rassegnazione, a volte mi dico che dovrei darvi maggiori prove di quella riconquistata dignità per cui ogni giorno fatichiamo. Ma a volte è uno sforzo anche per me.”
Valeria Nisticò