Fantasticherie del cuore
Il fratello geloso, la festa e la vittoria
07 MARZO 2016 - È molto difficile che una persona sappia godere del bene altrui. Una miseria che non accenna a diminuire, nonostante si sia raggiunto in generale, pur se tra mille difficoltà, un minimo di autonomia sociale e finanziaria. Nelle conquiste dell’altro non si riesce mai ad intrave-dere una propria partecipazione, se mai si tende a percepire una sconfitta personale o una spoliazione di qualcosa che comunque non si avrebbe il diritto di possedere. Una vera sconfitta per l’uomo che vorrebbe liberarsi dei limiti umani, per amplificare dentro di se la parte che lo connette direttamente con la dimensione soprannaturale. Eppure in apparenza sembra che il mondo sia cambiato! Effettivamente, se lo si guarda nel suo complesso, sembra proprio che alcuni comportamenti di de-bolezza umana siano ormai scomparsi. Quando però l’attenzione cade sul singolo e sui contesti più piccoli, si scopre che alcuni falsi sentimenti, pur ben colorati all’esterno, sono alla fine rimasti intatti. [MORE]
Si attualizza, purtroppo, nella sua forma peggiore la parte della parabola del “Figliol Prodigo”, che descrive la brutta reazione del fratello maggiore, appena saputo della festa che si sarebbe tenuta nella sua casa. Un momento gioioso e misericordioso per festeggiare il ritorno del figlio più piccolo che si era perso e che ora, pentitosi, tornava alle sue origini e si inginocchiava al cospetto del Padre. La felicità di quest'ultimo non viene condivisa dal suo figlio maggiore che reagisce in modo violen-to, anche se quella circostanza di serenità e di salvezza non avrebbe tolto nulla di quanto già da lui posseduto. Al contrario lo avrebbe favorito con la costruzione di un clima intorno a sé più mite e rinfrancato, dopo un tempo di tristezza e di preoccupazione da parte del capo famiglia.
Egli però si indignò e non volle, preso dalla gelosia, in alcun modo partecipare al banchetto. Al pa-dre, che lo supplicava per coinvolgerlo di tanta gioia, gli rivolse con irritazione le seguenti parole: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. La risposta del Padre è lezione di vita che supera i confini del tempo e giunge fino ai nostri giorni con la stessa forza e la stessa freschezza. Una festa può essere qualcosa di più che un semplice atto di serena e con-divisa convivialità, può rappresentare, come in questo caso, una vittoria senza precedenti che ri-stabilisce un rapporto ferito all’interno della più intima affettività. Il Padre non ha dubbi sul tipo di accoglienza da riservare al figlio e così si esprime: “…ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
La festa diviene in questo caso un obbligo, superando i limiti del cuore dell’uomo che mai avrebbe risposto in tale maniera ad una azione di disobbedienza e di egoismo personale. Ma si sa che quanto è scritto in cielo fa fatica a prendere possesso dell’animo umano. L’uomo spesso è per le ripicche; la vendetta; la rovina altrui per emergere al posto di chi cade. Si riempie la bocca di misericordia, ma poi fa fatica a porgerla al prossimo che la reclama e la cerca nella giungla di una società distratta e solidale solo a parole. Quando la stoltezza viene abbattuta; l’arroganza messa all’angolo; cancellata l’insipienza; il male sconfitto; ritrovato il valore familiare, non è forse cosa giusta rallegrarsi e brindare alla vita che viene dal Signore? Il vangelo ci insegna con questa parabola come in alcuni casi sia obbligato gioire e che la festa venga tramutata in un canto di autentico trionfo. Una vittoria del cuore che non lascia sconfitti sul terreno, ma che innalza lo sguardo degli uomini verso traguardi infiniti di benessere spirituale e materiale.
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Egidio Chiarella