Salute
Il diritto alla salute è inalienabile. Pronto? Pronto? Pronto… Soccorso!
CATANZARO, 15 SETTEMBRE - A chi, suo malgrado, non è mai capitato di dover ricorrere ad un ricovero in ospedale per un problema di salute più o meno grave?
Il primo impatto, a parte quello con il cemento e quindi la rottura di un arto, è con il Pronto Soccorso e di sicuro può rilevarsi, in particolare, in Calabria, a volte traumatico, difficile e a tratti scoraggiante.
In quello spazio di circa un centinaio di metri quadri, adibita a sala d’aspetto, succede di tutto. Si assiste alle più improbabili piece teatrali che neanche il miglior regista teatrale sarebbe in grado di mettere in scena.
Ci sono persone di tutte le età e di differenti comprensori, perché purtroppo gli ospedali sono sempre di meno e soprattutto quelli periferici meno efficienti, quindi, nei centri più importanti (Catanzaro in particolare) arrivano tante persone dall’intera Regione.
Tutte queste persone convivono la stessa esperienza e tutti, all’inizio, vivono attaccati con gli occhi al monitor che molto lentamente regola il momento della prima visita con il medico di turno (che magari, non vale per tutti naturalmente, si sente sfigato e rimpiange di non essersi specializzato in altra branca della medicina).
Ci sono i diversi colori di assegnazione che determinano la gravità delle patologia e stranamente si spera di avere assegnato un codice prioritario (il rosso escluso naturalmente) perché ciò consente di sbrigarsi prima.
Il più ambito è il verde, mentre chi ha il codice bianco sa già di essere uno qualunque, uno sfigato ma soprattutto sa che dovrà stare li dentro anche per 2 giorni interi!
In questa sala d’attesa si sentono le cose più disparate, tra cui l’autoconvincimento che si è speciali e che si merita di scavalcare gli altri, che certamente sono lì solo per perdere tempo.
Quest’atteggiamento culturale, questo sentimento più o meno esasperato, spinge spesso molti ad inventarsi di tutto puri di passare avanti, diventa una vera e propria lotta alla sopravvivenza, di antagonismo, di braccio di ferro.
E’ vero, dopo parecchie ore passate lì dentro, il sistema nervoso comincia a dare segnali di scoraggiamento e solo l’appello a sentimenti primordiali come la forza della sopravvivenza o piuttosto lo spirito di conservazione della specie, ti sostengono e ti spingono a resistere, ma si continua a rimanere ansiosi, nervosi, affamati.
Tutto il peggio dell’essere umano viene fuori in poche ore e questo i sanitari lo sanno e quindi vivono anche loro uno stato di agitazione, di ansia che non consente loro di lavorare in piena serenità perché anche la loro è una lotta contro il tempo… l’unico pensiero è finire il proprio turno di lavoro e tornare a casa, possibilmente integri, nel vero senso della parola.
Quando finalmente è il tuo turno ti senti risollevato e vai in una stanza in cui un medico ti “accoglie”, purtroppo, suo malgrado, in parte, perché non fa altro che compilare scartoffie ed è costretto a rimanere attaccato ad un computer per tutto il tempo!
Oggi, infatti, il rapporto con il paziente si è modificato, talvolta, il medico, neanche si gira a guardare, perché compila dei campi in funzione dei parametri che l’infermiere detta: pressione, saturazione, battito e cosi via.
Compila decine e decine di moduli ed in quel momento sia lui che il paziente si rendono conto che una delle professioni più nobili viene parzialmente svilita da un sistema rigido, eccessivamente burocratizzato, anzi per restare in tema,
un sistema malato.
Trovi, diciamolo, il medico incazzato, nervoso, scostumato, ma trovi anche il medico che nonostante-tutto, prova a mantenere fede al giuramento di Ippocrate.
A questo aggiungi che i “pazienti” contribuiscono, talvolta, a rendere il suo lavoro sempre meno nobile e tutti insieme contribuiamo ad accelerare il processo di collasso a cui il sistema sanitario, se non si interviene, è ormai destinato.
Non si pretende certo un sorriso o una carezza della mano, queste smancerie sono un vago ricordo degli anni 60 ma almeno una frase detta in maniera diversa può fare la differenza, già perché il problema è proprio sulla differenza tra un ospedale ed un altro, tra un posto della terra ed un altro.
Questa differenza, preciso, la trovi anche tra i vari pazienti, che già nell’etimologia stessa del sostantivo, nonché aggettivo qualificativo è insita, ma pare che non tutti siano disponibili e cominciano diventare im-pazienti e trattano i sanitari esattamente come il cane della vicina, perché il loro certamente lo trattano meglio.
Si pretende di fare entrare tutti i familiari e magari anche il sacerdote, si pretende di essere visitati per primi, di avere quattro tacche del cellulare, perché c’è poca linea e no si fa altro che dire, per tutto il tempo, da Roma in sù funziona tutto meravigliosamente!
Durante l’attesa di ricevere le prime cure, si alternano sentimenti di scoraggiamento, di incazzatura e ti ritornano in mente quella matita e quella scheda elettorale, già forse c’entra poco, ma ti rendi conto di quanto la politica possa incidere sulla tua salute, sul tuo diritto alla salute.
Non è un problema di sinistra, di destra, centro, cinquestelle o di chi più ne ha più ne metta, ma è un problema di queste terre martoriate, in cui anche il diritto più sacrosanto viene meno.
Altri sentimenti ti passano per la mente, ti senti comunque fortunato rispetto a chi non comprende neanche una diagnosi, un tipo di esame che deve fare, perché magari è anziano o analfabeta e lì lo smarrimento è maggiore, i tempi si allungano ancora di più.
L’unica consolazione che hai è che il tuo handicap è provvisorio e solo allora, quando sei impedito anche nei movimenti più banali, ti rendi conto di quanta fatica ci possa essere in coloro in cui l’handicap è perenne, forse, solo in quel momento comprendi quanto sia importante il tuo sostegno, il tuo rispetto, fosse solo quello di lasciare libero il parcheggio a loro riservato!
La salute è un diritto inalienabile e la politica in particolare non può e non deve utilizzarlo a fini elettorali, semmai deve garantire, da Nord a Sud parità di trattamento e di dignità, garantendo ai precari di poter lavorare e ai sanitari di lavorare con ritmi più distesi perché una diagnosi sbagliata è una vita spezzata.
Ai sanitari, almeno a quelli sempre incazzati o superficiali, dico invece di cambiare mestiere perché ci sono tanti bravi giovani, plurititolati che sono in attesa di un posto di lavoro, capaci di sostituirvi perché, cosi come il diritto alla salute, anche la meritocrazia, è un diritto inalienabile.
Ai sanitari bravi, non sono pochi, dico che rispetto il loro mestiere, le difficoltà a cui ogni giorno vanno incontro , perché il loro è un lavoro delicato, difficile e che andrebbe meglio tutelato e rispettato.
Mario Sei