Politica

Il bene comune al centro di un corso presso l'Istituto Teologico Calabro "San Pio X"

CATANZARO, 25 FEBBRAIO 2013 - Alla scoperta del “bene comune” per uscire dall'individualismo e abbracciare quel “noi” che può capovolgere un sistema dominato dall'egoismo e dallo sfruttamento dell'altro in funzione del solo benessere personale. Una ricerca “comune”, alla quale sono stati sollecitati i partecipanti al corso su “Economia, Lavoro e Teologia Morale Sociale”, tenuto presso l’Istituto Teologico Calabro “San Pio X”, durante il primo semestre del Corso della Licenza in Teologia Morale sociale con indirizzo epistemologico, da Vittorio Pelligra, ricercatore di economia politica presso l’Università di Cagliari e docente dell’Istituto Università Sophia.


Prendendo le mosse dalle parole “economiche” della lettera enciclica “Caritas in Veritate” di Papa Benedetto XVI, Pelligra ha esordito evidenziando la continuità di quest'ultima con l’insegnamento sociale della Chiesa ma, allo stesso tempo, la sua grande portata innovatrice. Il ricercatore di economia politica, senza mai perdere di vista le riflessioni insite nell'enciclica papale, ha trattato con un grande professionalità e con linguaggio semplice, una serie di tematiche di profonda attualità e allo stesso tempo complessità: la carità come principio ordinatore della vita economica; il mercato e i suoi fallimenti; lo sviluppo umano e la felicità; homo economicus verso homo sapiens: equità, reciprocità, fiducia. Pelligra, con il suo disquisire, ha entusiasmato i corsisti, fra i quali alcuni provenienti dall'Africa, dall'India e dal Brasile.

“Riuscire a trasmettere concetti così complessi a un pubblico internazionale, con preparazione culturale diversa - ha commentato una studentessa - è un’arte. Il corso - ha continuato la stessa – ci ha permesso di imparare a leggere e comprendere i meccanismi che investono la nostra realtà economica e politica, e quindi quei meccanismi che ci interpellano giorno dopo giorno”. Pelligra, difatti, ha sottolineato che è importante comprendere a fondo i meccanismi che regolano il mercato, per poi impegnarsi nel cercare di salvarlo dal capitalismo della mutua indifferenza e della irresponsabilità. “Senza mercato non c’è vita buona, ma con il solo mercato la vita è ancora meno buona, poiché vengono esclusi i principi fondativi della vita in comune: fiducia, reciprocità e gratuità”, ha commentato il docente ricercatore.Non per niente, si legge nell'enciclica: “La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli” (CV 19); e ancora: “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, (…) che scambiano beni e servizi per soddisfare i loro bisogni e desideri” (CV 35). Ma qual è il segreto di un' “Economia felice”?

 

Una delle sfide dell’economia oggi è la promozione di una economia creativa. “E' nel settore dell’economia sociale che troviamo già oggi le più grandi innovazioni e i migliori risultati nel soddisfacimento dei bisogni umani (…). Quello che faremo in questo settore determinerà la salute, la qualità della vita e la performance della società nel XXI secolo”. Così commentava a suo tempo un grande economista e saggista austriaco naturalizzato statunitense, Peter Drucker. E, a tal proposito, il corso si è impreziosito di una illuminante riflessione di Pelligra sui beni comuni, partita dalla consapevolezza, a volte non dichiarata, che ormai stiamo vivendo nell’“era dei beni comuni”. Constatazione nata dal fatto che i beni comuni non sono più l'eccezione in un sistema dominato dai beni privati, bensì la regola.


Secondo Pelligra, Comunità, beni comuni e Bene Comune rappresentano una triade inscindibile in un'economia felice. Non si può dare, infatti, Bene Comune, inteso come “il bene di tutti e di ciascuno”, senza abbondanza di beni comuni. “Così come il Bene Comune – ha detto Pelligra - non è dato da una somma di interessi, ma piuttosto da una sottrazione di egoismi, analogamente, la tutela e la valorizzazione dei beni comuni si fonda su una rinuncia al massimo sfruttamento individuale in funzione di un benessere superiore per tutti. Questa logica – continua - rimanda ancora alla natura più profonda del legame sociale, del perché le comunità stanno insieme e non si disgregano miseramente, a ciò che ne costituisce il cemento e cioè l’essere ciascuno cum-munus, dono e obbligo reciproco”.


Occorre un cambiamento sociale, culturale. E sarebbe bene, a detta di Pelligra, guardare a quegli esempi “buoni” di forme di gestione comunitaria, a quelle comunità unite, in cui la foga dell’interesse individuale lascia il posto alla tutela e alla valorizzazione dei beni e del bene comune, attraverso l'auto-coinvolgimento, la responsabilizzazione e la non indifferenza dei cives, le cui azioni, a loro volta, sono incondizionatamente dirette da una dimensione etica individuale. Sempre secondo il docente del corso, occorrerebbe smettere di ragionare come tanti “io”. “Questo passaggio dall’io al noi può portarci ad una gestione più oculata dei beni comuni, materiali e immateriali”, ha commentato Pelligra. Serve però una presa di coscienza. Una scelta individuale. L'essere soli o esigua minoranza non deve scoraggiare, perché reale è la possibilità di contagio sociale, dai singoli alle istituzioni. E così che, mettendo al centro dei propri interessi e delle proprie azioni i beni comuni, pur “da minoranza profetica”, si può cominciare un cammino rivoluzionario e di cambiamento verso un'economia felice.[MORE]