Chiesa e Società

I medici: “sua figlia dopo la nascita non vivrà”. Oggi Maila ha 16 anni.

I medici: “sua figlia dopo la nascita non vivrà”. Oggi Maila ha 16 anni.
Francesco e Nila sono due meravigliosi genitori, persone molto semplici e la luce che promana dai loro occhi ti rapisce e ti incanta. Voglio raccontarvi la storia della loro famiglia arricchita dalla presenza di due figlie: Maila e Martina. Questa storia loro l’hanno voluta raccontare in un libro “Imprevedebile Mistero. La persona oltre la disabilità” autoprodotto per dare un messaggio di speranza a tutti e con il ricavato, creare stanze d’accoglienza parrocchiali per tutti. Chi volesse acquistare il libro può contattare il sito www.imprevedibilemistero.it .

 «Tante volte  - mi racconta Nila che è quella che parla di più nella coppia – abbiamo immaginato la nostra vita insieme: io e lui che rientravamo a casa dopo una giornata di lavoro, raccontandoci le nostre esperienze, i nostri incontri. Ci chiedevamo che tipo di mamma e papà saremmo stati per i nostri figli. Devo dire che le mie priorità erano la famiglia e il lavoro. Da persona frenetica, guardavo passare il tempo godendomi ogni momento. Non ci siamo fatti mancare nulla: uscite con gli amici, viaggi e molto divertimento. Dopo due anni di matrimonio abbiamo sentito l’esigenza di completarci con l’arrivo di un figlio. Ricordo il giorno in cui scoprii di portare nel mio grembo una vita! Chiamai immediatamente Francesco. Eravamo felicissimi. Spesso abbiamo fantasticato il suo volto, il suo sesso, il suo nome. Per non perdere nessun istante di quella meravigliosa avventura che stavamo vivendo, decidemmo di acquistare una telecamera con cui immortalare il lieto evento.

I primi mesi di gravidanza furono a rischio e fui così costretta a un riposo assoluto, con la speranza che il pericolo potesse rientrare. All’improvviso mi ritrovai su un letto di ospedale, circondata da un’équipe di medici che discutevano circa la mia sorte e quella della creatura che era in me. Mi chiesero addirittura che nome intendevo dare a quell’esserino, una volta nato, di cui non si percepiva più il battito, e del quale non conoscevamo il sesso. Tra me e me mi domandavo: “Perché vogliono sapere il nome che intendo dare a questa vita? Che cosa sta succedendo?”. Fu un medico, che con molta franchezza e schiettamente mi disse: “Signora, la situazione è gravissima, lei è priva di liquido amniotico. Dobbiamo intervenire urgentemente, e, poiché il feto che porta nel suo grembo, sicuramente non riuscirà a sopravvivere, dovremo battezzarlo…”. Non potrò mai dimenticare quelle parole…, né la mia disperazione… e il buio… che invasero il mio cuore, che indelebili s’incisero nella mia carne e soprattutto nel mio spirito».

E così Maila viene alla luce, la situazione è molto delicata. Costretta in incubatrice. Dopo tre giorni dal parto i medici comunicano alla mamma che può lasciare l’ospedale ma senza la bambina. la situazione di Maila era critica veramente: asfissia perinatale, ecchimosi per tutto il corpicino, atrofia celebrale. I medici aggiunsero che, data la sua “altissima prematurità”, non si poteva fare niente, non c’era possibilità che sopravvivesse a lungo. «Io, ma soprattutto Francesco, credevamo il contrario. Ogni sera andavamo via dal reparto con la paura che quella sarebbe stata l’ultima volta che la vedevamo, ma il giorno seguente eravamo di nuovo rincuorati perché era un giorno in più a suo vantaggio. Quante notti insonni e tormentate: il freddo trapassava le nostre ossa e niente riusciva a riscaldarci.

In quelle notti silenziose e tenebrose, tante domande affollavano la mia mente e tanti dubbi dilaniavano il mio cuore. Una domanda su tutte rappresentava il mio dubbio più atroce che mi assillava senza tregua: “In che cosa avevo sbagliato?”. Tanti furono i sensi di colpa che mi opprimevano e davvero forte era il dolore che mi paralizzava. Cercavo in qualcosa o in qualcuno la causa di tutta la mia sofferenza. Mi chiedevo: “Perché a noi?”. Intanto, passavano i giorni e le notti e Maila con i suoi pochi progressi e con le sue numerose crisi, stava lì, in ospedale, nell’incubatrice, sotto gli occhi vigili dei medici e delle vigilatrici. Anche loro manifestavano la loro impotenza e ci confidavano che non sapevano più quali cure prestare a Maila. Ci assicuravano che avevano fatto tutto ciò che umanamente era possibile, ora non restava altro che confidare nel Signore e affidarla alla sua grazia. Sia io che Francesco, eravamo troppo presi dalle condizioni disperate di Maila. Soprattutto era tanta la rabbia verso quel Signore che permetteva tutto quel dolore e quella straziante situazione. E la nostra rabbia ci rendeva cechi, incapaci di vedere che il Signore era già all’opera. Non ci rendevamo conto che il Signore stava operando il “miracolo Maila”».

Dopo quattro mesi le condizioni della piccola si stabilizzarono ma il calvario era solo all’inizio. Un giorno, mentre Nila stimolava la bambina sul letto (eseguendo gli esercizi consigliati dai dottori), muovendo a destra e a sinistra un giochino sonoro affinché lo seguisse con il movimento del capo, si accorsi che Maila non ruotava la testa. Un dubbio: “Maila forse non percepiva i suoni”. «Nessuno mi aveva ancora prospettato questa probabilità: la sordità! Iniziarono i viaggi della speranza… Il primo “viaggio della speranza”, ebbe come destinazione Roma… l’Ospedale “Bambin Gesù”. La visita medica accertò la patologia, diagnosticando la “ipoacusia profonda bilaterale”. Non sapevamo cosa significasse. Non capivamo. Ci spiegarono con parole semplici e con un esempio molto efficace che: “Se fosse passato sulla testa di Maila un aereo, lei non lo avrebbe sentito perché era totalmente sorda”. Mi prospettarono che c’era la possibilità di installare un “impianto cocleare” - “orecchio bionico”, ma non prima dell’età di cinque anni e Maila aveva solo dodici mesi: avremmo dovuto attendere altri quattro lunghi anni.

Ancora una volta il buio aveva invaso i nostri cuori. Ciò significava lasciare Maila in quello stato di profonda sordità, condannandola anche al mutismo. Infatti, Maila, non udendo non avrebbe potuto ascoltare i suoni, imparare a imitarli e sviluppare così l’uso della parola. Oltre che sorda sarebbe stata anche muta, impossibilitata a comunicare. Ma nessuno riesce a fermare il cuore di questi genitori. Lottano e vincono. Alla loro bimba viene impiantanto a Verona, l’impianto cocleare. Oggi Maila ha 16 anni. Va a scuola. Vive in carrozzina, parla “ e pure tanto” a detta dei genitori. La loro è una storia di sofferenza e coraggio, di lotta. Maila non è immune al dolore e neanche all’insensibilità della gente. Lei stessa racconta nel libro quando in quinta elementare l’insegnante l’accusò di rallentare il lavoro della classe a causa della sua disabilità. Per fortuna, però, c’è tanta gente che vuole bene a Maila e queste parentesi nere, seppur brutte non la fermano.

«Spero che la nostra esperienza – concludono Nila e Francesco –  possa infondere forza e coraggio a tutte quelle famiglie che vivendo situazioni simili alle nostre e non si lascino vincere dallo scoraggiamento e dalla disperazione, ma si affidino a Gesù e alla sua dolce Madre, i quali, arrivando immediatamente al cuore umile, sapranno rispondere a tutte le domande.

Il punto di domanda è uno solo: “I nostri figli avranno il diritto di vivere dignitosamente la loro vita?”. È questo ciò che mi sono sempre chiesta: “Quando non ci saremo noi – io e Francesco – chi si prenderà cura di Maila”? Noi genitori non possiamo permetterci di fermarci e lasciarli in balia del loro destino, perché il loro futuro è nelle nostre mani. Dio ci ha fatto dono di una “croce d’amore” e fieri la sosterremo. Il Signore è entrato nelle nostre vite per una via inattesa, in punta di piedi. Con gradualità e con decisa caparbietà e ostinazione si è fatto amare. Non è fuggito dinanzi Imprevedibile Mistero ai nostri rifiuti e alle nostre rimostranze. Lui sempre aprirà il nostro cuore con la chiave del suo amore, asciugherà le nostre lacrime, e, saprà aprire i nostri occhi affinché possiamo contemplare con lo sguardo dello Spirito ciò verso cui dobbiamo sempre fissare e volgere i nostri occhi: Gesù Cristo trafitto, crocefisso, morto, sepolto, risorto e asceso al Cielo. Dal suo Vangelo apprendiamo che l’espressione “normodotato” è una pura convenzione tutta umana, limitata e soprattutto escludente. In conformità a quale criterio una persona può essere definita “normodotata” o “diversamente abile”. Tutti siamo diversamente abili perché tutti siamo creati diversi e differenti».

Don Francesco Cristofaro