Fantasticherie del cuore

I limiti ignorati della cultura mondana

L’uomo è bravo a mettere al centro sé stesso costruendo magari anche meraviglie terrene inimmaginabili, ma senza di frequente osservare gli equilibri naturali e il valore ontologico di quelle essenzialità quotidiane legate alla verità oggettiva della Parola che previene ogni cosa. All’ombra di tutto questo emerge un cristiano silenzioso, ormai imboscato nel mondo e pronto ad avallare questioni delicate come quella attuale della dissacrazione degli assesti naturali.

Cade l’anima del pensiero cristiano e prende via una pseudo cultura cristiana che corteggia il bello del mondo senza legarlo al mistero del cielo ed ingrossando una letteratura animista e sentimentalista che scarta Dio, promossa a pieni voti dalla tv di Stato. In tante occasioni ci troviamo infatti ad ascoltare le lezioni magistrali del filosofo, del magistrato, dello psicologo, del professore, del medico, del politologo, dello scienziato di turno che, pur se piene di reale pathos ed elementi contestuali forbiti e circostanziati, sono monche di quel profilo evangelico che nutre la storia di verità rivelata e non solo. È la Parola che sparge infatti il sale sulle “ferite quotidiane” della società, evitando le infezioni che aprono alla tentazione e al peccato.

In questo panorama parlare oggi di cultura evangelica significa essere guardati con occhi sospetti. Passano però tra gli applausi e i compiacimenti dottorali pseudo culture legate al macabro, alla pornografia, alla violenza, ai tradimenti, ad una libertà senza alcun confine, ad un diritto senza doveri universali immodificabili. Si vuole una cultura evangelica magari solo proclamata, ma non troppo, in modo che la si faccia pian piano morire.

L’essere umano senza pensarci guarda agli eventi politici e sociali quotidiani, come a quelli naturali, senza alcun riferimento trascendentale, basandosi solo sulle fondamenta di una proiezione antropologica della vita. Per capire meglio il tutto urge la luce del pensiero teologico che l’uomo di norma non possiede e dal quale bisognerebbe muoversi per contribuire, anche all’1%, ad accendere nei cuori la giusta attenzione alla realtà. Leggo il virgolettato in proposito:

Si vuole che la cultura evangelica neanche più esista. Si è ormai decretata la sua morte. I cristiani spesso sono complici di questa dichiarazione di morte. Basta osservare il linguaggio dei cristiani di fronte ad eventi tristi e delittuosi. Si parla, si contesta, si discute, si protesta da una visione antropologica culturale. Non si fa alcun riferimento esplicito al Signore dell’uomo, alla sua Legge santa e universale, a Cristo Salvatore. Non vi è alcun riferimento alla trascendenza, al soprannaturale, al peccato, alla trasgressione della Legge divina alla quale è obbligato ogni uomo, sia carnefice che vittima”.

D’altronde in questo mondo che rivendica la libertà di ogni parola e di qualsiasi gesto privato e pubblico, pur se lontani da un minimo di valori non negoziabili, se ci si appella al vangelo si rischia di essere accusati di fondamentalismo. Non a caso si è pronti a mettere alla gogna qualunque pensiero che si distacchi dalla mentalità mondana, assurta ad obiettività perimetrale delle relazioni umane.

Non si fa più riferimento alla Parola di vita eterna del vangelo. Ad essa si guarda, o meglio si guardava, come solo Parola generatrice di cultura nella comunità degli uomini. Bisogna stare comunque attenti quando si parla di azione culturale o missione evangelica. La differenza è abissale.  Riporto in merito il sottolineato di una recente nota teologica:

“Oggi si sta rovinosamente passando dall’annuncio diretto del Vangelo e dal diretto invito alla conversione alla Parola della salvezza a incontri di interessi culturali ….. La cultura è fatto puramente umano, della terra per la terra. La missione cristiana invece è fatto divino, per la salvezza eterna di ogni uomo. La salvezza eterna non esclude la salvezza nel tempo, perché l’uomo entra nella salvezza solo vivendo tutto il Vangelo oggi, nel tempo”.

Viviamo in un mondo di atei e di squadroni animisti da circolo culturale in cui un cristiano, per poter passare indenne, spesso è solito separare il suo messaggio culturale dal nucleo cristiano. Qui sta l’errore senza precedenti!

Il risultato è pessimo, anche se in apparenza può sembrare gratificante e in perfetta armonia con il resto della collettività in ogni sua rappresentazione civica, etica ed intellettuale. Definire strano questo aspetto è forse solo un eufemismo più che addolcito, specie quando purtroppo si esprime nella sua peggiore eccezione nei meandri delle istituzioni e delle pratiche economiche.

Il danno alla collettività è enorme e non solo per l’ambiente, come di continuo si manifesta in questo periodo, ma per l’uomo in sé ridotto ogni giorno a diventare un giocattolo ben verniciato, sempre di più privo di consistenza partecipativa e creativa.

Tra cultura e missione cristiana la differenza è sostanziale e va colmata, per evitare che anche un bel convegno o un incontro culturale rischino di diventare motivo di distanza con il pensiero cristiano. Un chiaro pericolo per quel richiamo “di salvezza” che laici e religiosi pensano, con animo sincero, di mettere tante volte in atto.


Egidio Chiarella

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