Cultura e Spettacolo

I fratelli Taviani vincono l'Orso d'oro al Festival cinematografico di Berlino

BERLINO, 21 FEBBRAIO 2012 – Le proteste degli addetti ai lavori del cinema italiano qualche volta sono giustificate. Alle prese con la finale del Festival di Sanremo, le infinite polemiche sugli interventi di Celentano, il chiacchieratissimo tatuaggio di Belen Rodriguez che con la sua “ farfallina “ esibita in prima serata ha catalizzato l’attenzione di pubblico e stampa rischiava di passare sottotono un avvenimento importante per il nostro cinema. Si è concluso infatti sabato l’importante festival del cinema di Berlino e i fratelli Taviani si aggiudicano con il loro “ Cesare deve morire “ l’Orso d’oro, maggiore riconoscimento della manifestazione, dopo ben 21 anni dall’ultima vittoria di un film italiano alla Berlinale. La pellicola girata all’interno del carcere romano di Rebibbia ha come protagonisti gli stessi detenuti alle prese con la messa in scena del dramma shakespeariano del “ Giulio Cesare “.[MORE] Un film destinato quindi a far discutere per il tema trattato, quella condizione carceraria che oggi in Italia è quotidianamente al centro di polemiche. I due fratelli Paolo e Vittorio, rispettivamente classe 1931 e 1929, hanno riportato il cinema italiano sulle vette d’Europa ma non sono mancate, anche in questo caso, le polemiche. La stampa italiana esulta per l’importante riconoscimento mentre quella europea sembra piuttosto fredda e giornali come il tedesco Der Spiegel, il britannico The Guardian e il francese Libération non mancano di sollevare dubbi sul fatto che la pellicola presentata dai due registi italiani sia davvero la migliore. Le polemiche però, in questo caso, rappresentano un passaggio indiscusso di manifestazioni come quella del Festival del cinema di Berlino e sembrano non scalfire più di tanto l’entusiasmo dei due vincitori che hanno avuto il coraggio di realizzare e presentare un film non certo convenzionale.

Parole di ringraziamento sono state rivolte durante la premiazione alla giuria presieduta da Mike Leigh e ai detenuti di Rebibbia. Possiamo senza ombra di dubbio affermare che i veri trionfatori sono infatti stati loro. Questo si legge anche nella parole di Paolo Cavelli, genovese di 53 anni, regista che nel carcere romano lavora ormai da 10 anni con passione e determinazione mettendo in scena classici del teatro quali Shakespeare, Dante e Pirandello. Con testardaggine ha creduto fino in fondo alla validità del progetto e si è speso alla ricerca di finanziatori per la realizzazione della pellicola. Finanziatori che immancabilmente scomparivano alla parola detenuti. Fino al fatidico incontro con i fratelli Taviani. Invitati ad assistere ad una rappresentazione dell’Inferno di Dante sono rimasti letteralmente folgorati dall’incontro tra “quest’umanità reietta e l’altissimo valore della poesia”, queste le parole di Cavelli che è concorde nel ritenere i carcerati di Rebibbia come i veri trionfatori. “Lavorare con loro significa fare i conti con gente che sta male e soffre, la mancanza di libertà è terribile, chi non la prova, non può capire. Mi è successo di assistere alla notifica di una condanna di ergastolo, oppure di vedere la scena di un recluso a cui viene data la notizia inattesa della liberazione... Ho imparato, per esempio, che non posso mai fissare le prove nei giorni dei colloqui. Se l’incontro con un parente va male, nessun detenuto ha più voglia di recitare. In carcere bisogna dire sempre la verità, spesso si ha a che fare con persone abituate a comandare, se non sanno bene chi hanno davanti, non si affidano, non delegano. La vittoria alla Berlinale è il segno di un vento di rinnovamento, che riguarda tutto il Paese. In Gomorra si raccontava quello che accade prima, fuori dal carcere. Adesso è arrivato il tempo di parlare del dopo”. Queste le parole con le quali, il regista genovese, racconta l’esperienza difficile ma entusiasmante di dirigere un gruppo di teatro all’interno di un istituto di pena. Un plauso al cinema italiano e a tutte le sue maestranze che ancora una volta hanno saputo conquistare un importante riconoscimento internazionale.
Daniela Dragoni