InfoOggi Cinema
I 20 film del 2020 da vedere (e perché le liste non sono più quelle di un tempo)
PERCHÉ IL CINEMA È CAMBIATO (E LE LISTE PURE)
A 125 anni dalla propria nascita, possiamo dire che il cinema soffre – o cresce – di identità multiple. La moltiplicazione delle modalità di fruizione ha raggiunto durante il 2020 un punto di non-ritorno in termini di nuove modalità di fruizione. La novità non è tecnologica, ma sociologica. Sarebbe fin troppo facile additare le conseguenze della pandemia nella settima arte per raccontare il decollo delle piattaforme on-demand o l’ibridazione virtuale dei festival cinematografici. La realtà è che, nonostante l’accelerazione impressa dalle cause di forza maggiore, è stato l’ampliamento di catalogo – non sempre ordinato – da parte di alcune delle più note piattaforme a conferire credibilità ad una fruizione poco prima approcciata con diffidenza, come sorella minore della nobile sala.
Netlfix, Prime, Mubi hanno offerto una scelta di film che si è affermata non solo come antidoto alla noia del popcornista da divano – la scazzata domanda “mi consigliate un film su Netflix” è ormai un meme – ma anche come unico approdo possibile per gli assatanati della qualità, alias i cinefili puri e duri. È un fenomeno al quale si sono accodate anche le piatteforme di supporto ai festival – in Italia, MyMovies su tutte: City Hall di Frederick Wiseman da Venezia in streaming per qualche giorno, o l’iraniano Botox che ha vinto il Festival di Torino, chi li avrebbe ripescati dove se non fossero stati trasmessi online? Similmente, per un Hong Sang-soo d’annata come The Woman Who Ran si sarebbe dovuto pregare qualche nostalgico prete che organizza i cineforum in provincia o accendere un cero in qualche illuminata sala di periferia metropolitana per vederlo: se non fosse stato, qualche giorno fa, per la piattaforma Mubi.
Aver elevato la qualità e la quantità dell’offerta ha dunque trasformato una possibilità generica in possibilità obbligata: molti dei film che circolano nelle liste delle più accreditate riviste di settore non sono – e non sarebbero – arrivati in sala, bensì restano appannaggio pressoché esclusivo della sala virtuale globalizzata, che il cinefilo ben informato non può più rinunciare a frequentare. Non tiene più, ormai, l’argomentazione: ma quando apriranno le sale, sarà un’altra cosa. A molti film resteranno precluse le sale, a molte sale resteranno preclusi i film. In quanti, senza le piattaforme online o senza fare da spettatori a distanza dei nuovi festival 3.0, potranno vedere in sala film che non saranno distribuiti per diverse ragioni, come Lovers Rock di Steve McQueen (che fa parte di una serie BBC) o This rain will never stop di Alina Gorlova (che viene dal circuito dei festival)? Così come, non s’immagina altro sbocco, se non quello del piccolo schermo, per quel pugno di titoli che a fatica, con adeguato allenamento di auto-aggiornamento, un po’ di spettatori estraggono con gioia da Netflix (Dick Johnson Is Dead di Kirsten Johnson o Rocks di Sarah Gavron), Prime (Possessor di Brandon Cronenberg o Saint Maud di Rose Glass) e i loro fratelli.
Le sale riapriranno, dunque – ma non per tutti i film; e nemmeno tutti i film vorranno venirci. Nel terzo millennio tocca allo spettatore, e non alle distribuzioni, inseguire i film.
E SE SERVISSE PIÙ TENET DI NOLAN CHE CITY HALL DI WISEMAN?
A volte i film s’inseguono anche con una mazza da baseball in mano. L’auto-aggiornamento di cui sopra sfuma ormai nel dover dire ad ogni costo, meglio se con feroce decisione, o derisione – o incivile istinto, fate voi. A demolire Tenet di Christopher Nolan non è stata tanto la critica, o meglio, non quella tradizionalmente intesa; quanto quella mostruosa creatura a mille bocche della critica democratica del terzo millennio. In altre parole, il film è stato disintegrato – persino prima di uscire – dall’opinionismo aggressivo degli spettatori da tastiera, talora ricco di caratteri e povero di carattere. Ecco perché i cambiamenti più incisivi del cinema del terzo millennio sono di carattere sociologico: gli hater esistono anche tra spettatori e appassionati, l’occhio del ciclone social risucchia una fascia di non-spettatori o ex spettatori distratti che oggidì dovranno assolutamente vedere un film – per poterne commentare.
Se in democrazia nessuno è infiltrato, ciò non toglie che molte circolanti “analisi” dei film di Nolan siano poco analitiche, e siano, piuttosto, contaminate da certa isteria collettiva del giudizio tranchant (ho cercato di evitare ad ogni costa il francesismo, ma alla fina ha preso il sopravvento). E a proposito di francesismi, apprendo che per i Cahiers du Cinéma – o quel che ne resta – il miglior film dell’anno sarebbe il documentario City Hall del Maestro Frederick Wiseman, che segue per oltre quattro ore incontri, dibattiti e comizi nella città di Boston attorno al sindaco democratico Martin Walsh, per ribadire lo sforzo politico di costruzione di una comunità inclusiva, tanto più in contrapposizione alle bizze trumpiste. Se eticamente il film di Wiseman è di eccezionale valore, dubiterei del fatto che l’idea di un’immersione a oltranza in quattro ore di chiacchiere sia filmicamente un esempio di misura indovinata. È una pretesa grossa come una casa, come quella per cui Nolan è stato bollato come un dannato-pallone-gonfiato-che-fa-film-complicati-e-pretenziosi. Solo che Nolan è mainstream, Wiseman è d’essai – a dimostrazione del fatto che, sottotraccia, le vecchie categorie continuano ad influenzare il giudizio corrente, nonostante i tempi confondano giustamente le acque facendo vincere Parasite agli Oscar e Joker a Venezia, rompendo il divisorio in vetro fragile tra il commerciale e l'autoriale (vedi in proposito l'intervista con i Proff. Christian Uva e Vito Zagarrio sul libro Le storie del cinema. Dalla Preistoria al digitale).
Al di là del coraggio irrisolto di entrambe le opere, è facile concludere che al cinema serva la pluralità delle voci anche tra chi lo fa, e non solo tra chi lo giudica. Un film come Tenet funziona come film esplorativo, come coacervo di sfide tecniche, estetiche, filosofiche: ce n’è un certo bisogno, anche più dei lodevoli comizi – impliciti ed espliciti, in ogni caso soliti – di Wiseman. Chi l’ha inteso come il film definitivo, ha certo avuto buon gioco nel criticarne i difetti – la presunta inespressività degli attori, i buchi di sceneggiatura, gli eccessi cerebrali. Nondimeno, il cinema necessita di obiettivi ambiziosi, di modi altri di guardare la narrazione – che diventano modi altri di saper guardare da parte dello spettatore, e così nuove forme di pensiero, aperture mentali, conati di elaborazione critica. Non è del tutto decisivo se, con le sue pachidermiche imperfezioni, lo spettacolo convulso di Tenet funzioni o meno: funziona, a prescindere, il fatto che sia molto meno dottrinale di tanto cinema d’essai, compreso il loop meraviglioso di autori come Philippe Garrel o Hong Sang-soo. Anche il d'essai è un recinto confortante: a volte troppo.
20 FILM DEL 2020 DA VEDERE
Ecco, si noti: non i migliori film. Ho scritto altrove – ma si è perso nel web – che sarebbe un buon passo in avanti se si cominciasse a considerare un film come qualcosa d’interessante, al di là del bene e del male, e non solo nell’alveo ristretto del bello\brutto, mi piace\non mi piace. Che fa molto social, e poco cinema. Una nota tecnica, anch'essa indicativa dei tempi: alcuni film sono prodotti nel 2019, ma il vero anno di distribuzione - non solo in Italia - è stato il 2020. Non ci sono più le liste di una volta: bisogna inseguire i film nello spazio e nel tempo - perché così come la sala non è più solo quella in città, l'anno solare non coincide più con l'annata cinematografica.
1. La ragazza d’autunno di Kantemir Balagov
MOTIVAZIONE: tecnicamente apparterebbe alla scorsa annata cinematografica, ma in Italia è arrivato il 9 gennaio 2020 dopo aver vinto il premio per la miglior regia a Cannes 2019. A Leningrado, nel 1945, la timida infermiera Iya si occupa del bambino di Masha. Quando quest’ultima torna dal fronte, la reazione ad una tragedia personale innescherà un'ossessione morbosa e complicata. Il regista più promettente della nuova leva russa confeziona un’opera seconda – dopo l’eccellente Beanpole – d’impressionante spessore psicologico ed elegante controllo, mantenendo il realismo impattante della polvere da sparo, delle lampade affumicate, della pelle ingualdrappata nei ruvidi panni invernali, del feroce bianco niveo dell’inverno.
2. Lovers Rock di Steve McQueen
MOTIVAZIONE: Micro-storie di flirt, minacce e balli sfrenati durante un party all-black. Si tratta del secondo dei cinque film della serie Small Axe, in cui Steve McQueen scava nella storia degli afroamericani del Regno Unito tra anni ’60 e ’80 ed è l'opera più potente della cinquina, per l’irripetibile mistura di tocco aggraziato, regia fisica e sudore da revival musicale.
3. Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman
MOTIVAZIONE: Charlie Kaufman – tra le altre cose, Oscar alla sceneggiatura per Se mi lasci ti cancello e regista del fenomenale Synecdoche, New York – trascina lo spettatore ancora una volta nei meandri di un’allucinazione amorosa, partendo dalla visita di una coppia di neo-fidanzati ai genitori di lui, per sprofondare in un vortice di pulsioni allucinate, citazioni filosofiche, stargate hollywoodiani, incubi e tenerezze.
4. Hotel by the River di Hong-sang soo
5. This Rain Will Never Stop di Alina Gorlova
6. Uncut gems di Josh e Benny Safdie
7. Mank di David Fincher
8. Tenet di Christopher Nolan
9. Possessor di Brandon Cronenberg
10. Punta sacra di Francesca Mazzoleni
11. Ema di Pablo Larraín
12. Undine – Un amore per sempre di Christian Petzold
13. Miss Marx di Susanna Nicchiarelli
14. Mangrove di Steve McQueen
15. Mai raramente a volte sempre di Eliza Hittman
16. Les Misérables di Ladj Ly
17. First cow di Kelly Reichardt
18. Le Sel des Larmes di Philip Garrel
19. Da 5 Blood di Spike Lee
20. The Invisible Man di Leigh Wannell
Con affetto a tutti quelli che amano il cinema, e non lo odiano: Lovers Rock! Buon 2021!
(in copertina: fotogramma da Lovers Rock di Steve McQueen; all'interno: fotogramma da Tenet di Christopher Nolan)
Antonio Maiorino