Hong Kong, nuovi scontri nella notte: manifestanti in maschera sfidano la repressione cinese
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HONG KONG, 21 OTTOBRE – Diverse migliaia di manifestanti si sono nuovamente riversati nelle strade della regione amministrativa speciale, ignorando il divieto di raduno imposto dalla polizia e riprendendo la protesta contro l’influenza cinese sul governo locale, che va avanti ormai dal mese di giugno.
I manifestanti, molti dei quali vestiti di nero e in maschera sfidando i divieti imposti dalle autorità centrali di Pechino, hanno barricato le principali arterie stradali cittadine e lanciato petardi all’indirizzo dei nuclei di forze speciali della polizia; questi ultimi hanno invece risposto sparando gas lacrimogeni nel tentativo di disunire i rimostranti. Molti, però, protestano anche in maniera pacifica, utilizzando striscioni e slogan: tra i vari cartelli esposti nei cortei, in particolare, molti raffigurano la bandiera cinese associandola ad una svastica nazista.
Nel campo di battaglia del centro cittadino di Hong Kong non sono state risparmiate neppure le varie attività commerciali che si sono apertamente schierate su posizioni filo-cinesi: negozi alimentari e di telefonia, filiali bancarie e bancomat sono stati i principali bersagli della furia rabbiosa dei rimostranti, che si sono poi scagliati sui temerari passanti che parlavano mandarino in strada. Al termine della nottata di guerriglia sono 24 le persone che risultano ferite, 6 delle quali trasportate in ospedale con lesioni gravi; dal canto suo, la polizia non ha comunicato cifre riguardanti arresti dei manifestanti.
Le proteste non accennano comunque a placarsi, dal momento che le richieste dei manifestanti continuano ad essere ignorate se non represse dalle autorità cinesi. Tutto deriverebbe dalla decisione – risalente agli inizi di giugno – dell’Assemblea Nazionale del Popolo (l’organo parlamentare cinese) di approvare una legge che disporrebbe l’estradizione in Cina di tutti i cittadini hongkonghesi indagati: il timore diffuso è che la normativa sia il segnale di apertura di una stagione di repressione e di erosione dei diritti civili degli abitanti dell’ex città-stato, posta formalmente dal 1997 sotto la supervisione cinese ma con ampia autonomia amministrativa e politica, che le stesse autorità di Pechino si erano impegnate a rispettare per almeno 50 anni secondo il motto “una Cina, due sistemi” propugnato dall’ex presidente Deng Xiaoping. I manifestanti hanno ottenuto il ritiro definitivo della legge – nel frattempo arenatasi nel suo percorso parlamentare – ma continuano a chiedere anche le dimissioni del capo dell’esecutivo locale Carrie Lam (accusata di essere più vicina a Pechino che alle esigenze della popolazione della regione meridionale) e l’introduzione di un vero suffragio universale per la scelta dei componenti dell’esecutivo, attualmente nominati dal governo cinese.
Nel contempo, da metà agosto Pechino ha schierato contingenti di truppe armate a Shenzhen, la metropoli più vicina al confine continentale di Hong Kong. Per la Cina, stabilità e sicurezza sono legate a doppio filo con i propri obiettivi di sviluppo economico, per cui alla luce della coda di proteste degli ultimi giorni c’è il timore ed il rischio concreto che in nome della stabilità il governo cinese accentui il livello di risolutezza del suo intervento repressivo nei confronti della società civile hongkonghese e che inoltre nei prossimi anni possa addirittura incrementare la propria ingerenza in una regione considerata socialmente instabile. Si sta dunque lentamente avvicinando il momento per l’ex colonia britannica di cominciare a negoziare con Pechino per mantenere anche solo una minima parte del grado di autonomia di cui ancora gode, ma soprattutto per evitare che la repressione cinese possa sfociare in un durissimo e violento intervento militare.
Francesco Gagliardi
Fonte immagine: flipboard.com