Politica
Guerriglia urbana: le reazioni dell'indomani
NAPOLI, 15 NOVEMBRE 2012-È il giorno dopo gli scontri, la cui scia ancora si trascina per le strade delle città italiane e europee. È il giorno delle dichiarazioni del caso, delle prese di distanza, della dietrologia, del plauso alle forze dell’ordine, della comprensione ai manifestanti pacifici. Una routine ormai consolidata, che non cambia mai la formula vincente. Il Ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri a difendere gli agenti, i partiti di sinistra ad esprimere solidarietà ai manifestanti- come se i lavoratori di destra di manifestare non ne avessero proprio bisogno.[MORE]
Ma ieri in piazza c’erano loro, solo loro, dimostranti e agenti, gli uni a protestare, gli altri a fare il proprio lavoro. E fra loro, solo fra loro, si contano le ferite e si tirano le somme. Perché non è raro che le colpe si annidino da una parte, come dall’altra: chi protesta in maniera premeditatamente violenta, chi, manganello alla mano, perde le staffe. Nel mezzo quelli che ne pagano le spese, ancora una volta da un lato come dall’altro: pacifici dimostranti che finiscono nel fascio dei violenti, etichettati come dei facinorosi, bollati come improbabili aizzatori di spiriti; agenti di pubblica sicurezza pronti per quel ruolo che sono chiamati a svolgere: assicurare a tutti una coesistenza serena all’interno del perimetro umano d’un corteo.
Ma questa è storia vecchia, ripetuta negli anni sino alla noia. Eppure ogni volta dimenticata, offuscata da quell’abusato cliché dello scontro generazionale e sociale. Come se gli uomini in divisa e i giovani in marcia non appartenessero alla stessa categoria umana: gente che lavora, che suda la propria paga, che subisce tagli e sorprusi da chi, a tavolino, decide come debbano andare le cose. Considerazioni ormai logore, che pure ogni volta siamo costretti a riformulare. Come se Valle Giulia non fosse un luogo della nostra memoria, come se Genova non fosse più quella del luglio 2001, come se Roma non avesse conosciuto il 14 dicembre 2010 e il 15 ottobre 2011. Ogni volta a commettere errori da cui avremmo dovuto imparare.
Così, oggi come ieri, si tenta di dire che ad indignarci dovremmo essere tutti, perché nessuno di noi, divisa o no, siede sulle comode poltrone rosse, perché nessuno di noi finge facce trafelate alle conferenze stampa. Ormai è chiaro a tutti che le barricate, qui, non hanno più senso.
Lo dice Grillo, invitando gli agenti ad unirsi alle proteste, lo ricorda Saviano, che con gli agenti della scorta vive una vita simbiotica. Ma soprattutto lo diceva in rima Pasolini, che mezzo secolo fa si esprimeva così: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti,/io simpatizzavo coi poliziotti!/perché i i poliziotti sono figli di poveri./ Vengono da periferie contadine o urbane che siano/ (...) Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care».
Ma nulla da fare. È l’eterno ritorno dei bollettini di guerra. Cariche spaventose, specie nella capitale, dove oltre 50 sono i fermati e otto gli arresti. Atti di vandalismo per le strade. Molti, troppi, i feriti. E video a comprovare manganellate inferte, di spalla, agli studenti; e foto a dire che però anche i manifestanti hanno esagerato. Senza capire che scendere in piazza è un diritto di tutti e tutti, a prescindere dai diversi ruoli sociali, dovremmo essere interessati a salvaguardare quest’unico strumento che possediamo per far sentire la nostra voce, da qualunque fazione provenga, qualsiasi ragione esprima. Perché dopo c'è solo il silenzio.
(Immagine: corrieri.it)
Emmanuela Tubelli