Cronaca

Greenpeace, test stress nucleare: disattesa la lezione di Fukushima

ROMA, 12 APRILE 2013 - Un nuovo rapporto di Greenpeace sugli “stress test” ai quali sono state sottoposte le centrali nucleari europee lancia un allarme: la lezione di Fukushima non è stata appresa e molti degli impianti restano profondamente insicuri. Questo anche perchè molti problemi dipendono da limiti intrinseci dei progetti, difficili, se non impossibili, da risolvere. A giungere a tali conclusioni è il rapporto “Updated review of EU nuclear stress-tests” [1], opera del fisico Oda Becker, già coautore dell’analisi indipendente dei risultati degli “stress test” commissionata da Greenpeace nel 2012.

Dopo il disastro di Fukushima, nel 2011, gli Stati Membri dell’Unione Europea hanno progettato una serie di “stress test” per rassicurare i cittadini europei in merito ai pericoli che potevano derivare dalla presenza nell’UE di 132 reattori nucleari (più altre 5 in Svizzera). Doveva essere un esercizio trasparente, per condurre a piani d’azione nazionali in grado di fronteggiare le possibili criticità emerse dagli stress test. Ma proprio l’analisi di tali piani porta a risultati sconfortanti: a dispetto di investimenti anche ingenti, infatti, numerosi aspetti importanti e ben noti non sono stati affrontati; alcune delle questioni che pure sono state affrontate, poi, saranno risolte tra anni, lasciando nel frattempo i cittadini europei esposti al rischio.

Il rapporto di Greenpeace si focalizza in particolare sui problemi di alcune centrali nucleari estremamente problematiche, in Belgio, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia. Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Queste centrali sono una fonte di rischio non solo per i cittadini del Paese che le ospita, ma anche per quelli degli Stati confinanti. In particolare, non si sta tenendo conto dell’invecchiamento degli impianti e tutto ciò rischia di cancellare le migliorie che saranno effettuate.

Tra le centrali menzionate nel rapporto di Greenpeace ce ne sono due, Krsko in Slovenia e Muleberg in Svizzera, che minacciano anche gli italiani per ragioni comuni: i terreni sismici sui quali sono costruite e il pericolo di inondazioni. Nel caso di Muleberg, in particolare, il disegno strutturale è limitato, l’età avanzata, il sistema di raffreddamento in caso di emergenza non è adeguato, e la prevenzione per la produzione di idrogeno (gas esplosivo) insufficiente: un impianto da chiudere senza ulteriori discussioni.

L’Italia è pericolosamente coinvolta in un’altra delle centrali “a rischio”, quella di Mochovche, in Slovacchia, che minaccia anche Austria, Ungheria e Repubblica Ceca. Si tratta infatti di un impianto di proprietà dell’italiana ENEL, esposto a rischio di terremoti fino a quando, nel corso del decennio, non saranno realizzate adeguate protezioni. L’eventuale installazione di sistemi di ventilazione filtrati sarà oggetto di analisi, anche se la loro necessaria presenza è una delle lezioni più importanti di Fukushima. La Slovacchia inoltre rifiuta di analizzare cosa potrebbe succedere se il “guscio” del reattore si rompesse e molte delle misure dedotte dagli stress test verranno implementate solo nei prossimi anni.

Greenpeace ha dimostrato che esistono valide alternative al nucleare che aiutano anche nella lotta contro il cambiamento climatico, oltre che nel raggiungimento di altri obiettivi come l’indipendenza energetica e la sicurezza degli approvvigionamenti di energia. «Una progressiva eliminazione del nucleare combinata con misure di efficienza energetica e sviluppo di fonti rinnovabili è l’opzione più sicura – conclude Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – Gli impianti più vecchi e rischiosi devono essere chiusi immediatamente». [MORE]