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Gravity di Alfonso Cuarón, ritorno alla terra per una rinascita spirituale
Gravity di Alfonso Cuarón viene presentato in apertura alla 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Definito da James Cameron come il miglior space movie mai realizzato, ha richiesto al regista un lavoro di quattro anni.
A metà strada fra fantascienza e survival movie, Gravity di Cuarón, soprattutto grazie all’espediente tecnico del 3D, è in grado di provocare la sensazione fisica della sospensione nel vuoto e la percezione dell’assenza di gravità, avvertite come fragilità dell’essere cosciente sperduto in un cosmo silenzioso di dimensioni inimmaginabili. L’umanità vorrebbe guardare la terra dall’alto come il granello di universo da cui partire per un lungo viaggio di esplorazione e conquista, ma sono proprio i limiti della natura terrestre ad imporre alla tecnologia i suoi confini, svelando tutti i pericoli e le minacce di morte in uno spazio che, se pur di raffinata bellezza, non è creato per essere nuova dimora dell’uomo ma gli si presenta inospitale ed ostile.
Ryan Stone (Sandra Bullock) è stata inviata nello spazio a bordo dello shuttle Explorer con il compito di riparare un telescopio a seicento chilometri di altezza. La accompagnano un collega e il comandante Matt Kowalski (George Clooney), un astronauta veterano giunto alla sua ultima missione. Dopo che i russi distruggono uno dei loro satelliti, una reazione a catena non intenzionale porta una tempesta di detriti metallici intorno alla Terra, distruggendo tutto ciò che si trova sulla sua traiettoria.
Ogni immagine che passa sullo schermo nobilita e rende il 3D la forma più calzante e più efficace per immaginare, descrivere, esplorare un luogo senza confini.
In questo spazio virtuale Cuarón riesce ad esaltare e gratificare, pur dalla poltrona del cinema, le percezioni dei cinque sensi. Un pensiero fluttuante, con cui si ha l’impressione di osservare la terra dall’alto, si impadronisce totalmente dello sguardo, avvince e seduce con il silenzio e la luce stellare. Il posizionamento delle telecamere nel casco degli astronauti consente allo spettatore di vivere assieme a loro, con respiro affannoso, l’angoscia e il senso di claustrofobia. Si staglia davanti agli occhi uno sfondo dal fascino straordinario su cui si attende d’istinto lo svolgersi di una storia che possa essere nel contenuto all’altezza di quel sublime paesaggio.[MORE]
Purtroppo tanta meraviglia, concentrato di tecnica in forma spettacolare, non procede al servizio della narrazione. Cuarón dimostra talento nel racconto solo con la macchina da presa, ma non riesce, con altrettanta grazia, a muovere la macchina narrativa del film e se Gravity è dotato di un grande vigore visivo non altrettanto si può dire di quello propriamente drammaturgico.
Nella seconda parte del film si annulla tutta l’energia costruita dall’ambientazione; la partecipazione emotiva che ne scaturisce e che dovrebbe introdurre l’insieme delle situazioni del plot, rendendo significativa l’operazione cinematografica, non ha approdo in una sceneggiatura consistente. Lo sviluppo superficiale della storia sottrae empatia al risultato complessivo la cui grande capacità di fascinazione rimane esclusivamente legata alla componente visiva, soprattutto per merito di un lavoro meticoloso sullo spazio e sui corpi e di un’attenzione particolare all’utilizzo del sonoro in grado di scolpire il silenzio e la voce come fossero forme nel vuoto.
Si vorrebbe raccontare la lotta di sopravvivenza della dottoressa Ryan Stone e il ritorno alla vita di una donna che ha perduto sua figlia ma tale racconto è retorico, contenuto in dialoghi patetici, manca della delicatezza e complessità che la credibilità di un eroe drammatico necessariamente comporta.
Dalla forte impressione del contatto fra l’uomo e lo spazio deriva, pur totalmente slegata dalla vicenda messa in scena, una riflessione sulla sfida alle possibilità tecnologiche, ambizione ostinata che spinge gli esseri umani a sporgersi sulla soglia di confini proibiti, per allontanarsi sempre di più dalla vita naturale della terra. L’approdo al nuovo mondo ne dimostra tutte le durezze e le asperità, quello che appare come un miraggio si rivela un susseguirsi di eventi catastrofici. La salvezza non è in una fuga dalla terra ma in un ritorno al suo grembo.
SPOILER
La scena finale con la protagonista che striscia sulla riva di una spiaggia argillosa - per poi tornare a sentire la forza del corpo in posizione eretta, il cui peso è attratto dalla forza di gravità - traduce in immagini il sapore autentico di una ritrovata consapevolezza. Il motivo fondante del film - che richiama temi cari alla poetica di James Cameron e che, molto probabilmente, a favore di questi ne ha conquistato la stima e la lode - rappresenta una rinascita dell’anima dalla terra e dall’acqua viste come il grembo materno a cui attingere forza spirituale ed energia vitale.
Titolo originale: id.
Regia: Alfonso Cuaron
Interpreti: George Clooney, Sandra Bullock, Ed Harris, Eric Michels, Basher Savage
Origine: Usa, 2013
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 90'
(In foto: particolare del manifesto del film)
Gisella Rotiroti