Cultura e Spettacolo
(Ritor)nati per stupire: gli Zen Circus raccontano i "Nati per subire"
NAPOLI, 23 NOVEMBRE 2011 - Il circo è di nuovo aperto, e gli Zen Circus, più che “nati per subire”, sembrano nati per spaccare. La band pisana, sette album all’attivo nell’ultimo decennio ed un migliaio di concerti tra Italia, Europa ed Australia, prosegue il proprio percorso artistico di cantastorie in chiave rock, partiti dal folk con innesti di punk, fino a rifondare il cantautorato italiano. [MORE]
Troppe “k” e troppe etikette, pardon, etichette? Sentite cosa dichiarano loro stessi sull’ultima fatica, “Nati per subire”, la seconda in italiano dopo “Andate tutti affanculo”: “Musicalmente questo album è esattamente quello che volevamo fare, senza riuscirci pienamente, con Andate Tutti Affanculo. Trascinare per i capelli il cantautorato Italiano nel rock trasversale che adoriamo da sempre e che abbiamo fatto nostro negli anni. Ad essere autocelebrativi potremmo chiamarlo il nostro disco new wave, ed un po' è vero: certamente c'è sempre il folk dal quale ci è impossibile prescindere, ma anche tanta elettricità” (fonte: ufficio stampa Lunatik).
Ed allora, inseriamo la spina, e diamo corrente track-by-track.
“Nel paese che sembra una scarpa” è un calcio ben assestato, che fa capire immediatamente dove la band voglia andare a parare: o meglio, a sparare, perché il cantato graffiante di Appino mette il dito nella piaga di un Paese dalle troppe litanie e dalle troppe liturgie, nell’ombra di preti e banchieri. “L’amorale” è altrettanto diretto quanto scomodo, sia pure nell’immediatezza gradevole di un giro di accordi che sembra a tratti afflosciarsi in distonie pungenti quanto i testi. A proposito di new wave ed eighties, l’esordio di “Nati per subire” sembra riecheggiare i The Cure più solari, sviluppandosi con dosate pulsazioni elettriche ad accompagnare il mantra della band: “gli dei siamo noi”.
"Atto secondo” ricorda l’atto primo della band, con l’intro acustica che riprende trascorsi nobili e familiari degli Zen e le parole sempre caustiche: “un outlet infinito è ciò che meritate, l’inferno non esiste ma assomiglia a Rimini d’estate”. “I qualunquisti” parte giostrando a dovere le sincopi della batteria con i giri basso\chitarra, mentre la voce di Appino si assottiglia in tonalità più alte, guidata da un groove trascinante che esplode nel chiassoso refrain. “La democrazia semplicemente non funziona” è una bordata in sussurri, nenia mordace che funziona, eccome. “Il mattino ha l’oro in bocca” si snoda con un crescendo che promette di entusiasmare dal vivo, rinverdendo al contempo l’attitudine folk nella calibratura delle lyrics in rima.
“Franco” pare voler spiazzare con l’esordio vellutato, ma ugola agra, una propensione low-fi e l’ennesima storia amara rialzano la temperatura di un disco che come pochi riesce a parlare del nostro Paese. Tanto è vero che il successivo “Milanesi al mare” mostra nella propria scanzonatura, con tutt’altri modi, la verve incisiva del gruppo: altro pezzo che si spera di poter ascoltare dal vivo, farà ballare parecchio ai concerti. Con l’orrechiabile “Ragazzo eroe” trionfa la semplicità della forma canzone anni ’60, eppure un’occhiata al testo basta per capire che non si parla di surf, ma con lucida ironia si propina un’ulteriore controcanto polemico al Belpaese. “Cattivo pagatore” chiude idealmente il cerchio, accartocciandosi su toni più sognanti, anche se il sogno sembra un incubo ad occhi aperti: “il futuro te l’han pignorato” è un verso che suona sinistramente simile a “il futuro è una trappola” dei Ministri di qualche anno fa, o alle malinconiche e vivaci storie di un Brunori, a conferma che il Paese è quello. Ed è reale.
Uscito l’11 ottobre (La Tempesta Dischi; distribuzione Venus), “Nati per subire” rinnova l’urgenza espressiva di una band così viscerale da entusiasmare, così impietosa da deprimere. Una realtà consolidata nel panorama nostrano, in grado di raccontare, con spietata semplicità, magagne, vizi ed inguaribili derive italiane, per poi entrare nelle ossa con coinvolgenti performance dal vivo.
Antonio Maiorino