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Gli sviluppi del lavoro sommerso. L'acinellatura : IL CASO

               L’INCHIESTA: come si lavora, le retribuzioni, le mancate regolarizzazioni, gli orari, i protagonisti 

 

RUTIGLIANO (BA), 13 luglio 2012- C’è sempre da infiltrarsi per capire una realtà. E anche questo caso lo racconteremo con gli occhi diretti di un’esperienza breve, ma sufficiente per coglierne i dettagli. Il Sud, meridione in occasioni per il suo essere lento nel conferire opportunità                    di lavoro a chiunque, in Estate, per molti, si trasforma. [MORE]È un territorio che vive di mare (il turismo del Salento, come non citarlo) ma è –anche- un territorio di campi, sennò non ci spiegheremmo l’icona mondiale della buona tavola che la Puglia cristallizza in un primato mai battuto da nessuno. I campi. Il lavoro nei campi, in terra barese, d’estate, significa acinellatura. Acinellatura è quel lavoro di operaiato che consiste nel forgiare grappoli d’uva (da tavola, per destinazione finale) ad arte, eliminando acini piccoli inutili e permettendo a quelli in fase di crescita che promettono dimensioni più soddisfacenti, di svilupparsi comodamente. Questo, per fare “peso” di uva che, in agricoltura, significa quantificare Kilogrammi in moneta. Ma non è solo questo.

Acinellatura significa riconoscere le malattìe della pianta dell’uva (l’insistenza è quella di far attenzione al morbo della tignòla, della franchinella, della “polvere” o che altro) e avere gli occhi aperti per ogni frutto pendente di quelle viti generose per proteggere il “grande padrone” da perdite inutili. Ma come ogni lavoro, anche questo ha la sua pena.

Innanzitutto gli orari: ci si sveglia alle 04:30, ché alle 05:15 si parte con l’assegnazione del proprio “filare”. Da quell’ora, seguiranno sei ore intense di lavoro, a braccia alzate, con il sudore sulla fronte, la consapevolezza di un ristoro che non arriverà mai perché nei campi l’aria condizionata non l’hanno ancora inventata. Soprattutto, da quell’ora le mani devono muoversi con una certa velocità, per ritmare la cadenza tra un “ceppo” e l’altro, senza che si possa rendere meno di quanto sia nella volontà del dominus. Da quell’ora, molti eviteranno di prendere alla bisogna la bottiglia d’acqua per dissetarsi, se non quando strettamente necessario (è una perdita di tempo…) e, stessa cosa, per i bisogni. Urina in saccoccia e si continua. Tranne, anche qui, casi di ultima urgenza. Il pomeriggio si riprende. Ci sono operai che poi ricominciano e aggiungono al caldo mattutino delle ore di punta, anche quello pomeridiano. Orario: 15:30/18:30. In certi casi, dicono, si può andare anche oltre. Ma L’aspetto più penoso non è solo il lavoro in sè. Sono le condizioni. I protagonisti. Cinque euro all’ora la retribuzione, il che va pure bene, visti i chiari di luna dei lavori comuni (non parliamo dei giornalisti free lance che all’ora guadagnano molto meno, addirittura). Ma gli operai improvvisati chi sono? universitari in cerca di denaro per pagarsi l’alcolico del sabato sera o la camicia per rinnovare un guardaroba considerato oramai passato. Accanto però padri di famiglia, freschissimi disoccupati, che sperano di trovare un rimedio per mantenere una famiglia, specie quando i figli sono a carico e la moglie neanche ha modo di contribuire. E quindi che si fa? Si va a fare l’<acinino>, è ovvio. Almeno lì pagano. Con il passaggio di testimone al Governo Monti e la spremitura dei settori, con i controlli a tappeto, l’acinellatura non è il lavoro sommerso per antonomasia, come nei vecchi tempi accadeva, quando il Governo faceva finta di non vedere o semplicemente non era arrivato al limite del burrone per chiedere ai suoi concittadini anche la tassa sull’aria che si respira. Così avviene oggi: imprenditori agricoli contestualmente coltivatori diretti, nel timore di essere pizzicati regolarizzano i propri operai, attivano l’ingaggio, ne assicurano la prestazione d’opera. Tramite domande trasversali a chi questo lavoro lo pratica con continuità da anni, sembrerebbe che Mola di Bari, tranne alcuni casi (quali siano, non è dato sapere) in terra barese potrebbe elevarsi a simbolo di rispetto delle regole. Di rigore fiscale. Di ineccepibile lotta all’evasione (per “fifa” o per onestà, questo è da valutarsi). Rutigliano invece (la cito perché si definisce comunemente e comunalmente “La Città dell’Uva” e perché mi è capitato nel singolo e specifico caso, di testare) presenta quello che per l’Ispettorato del Lavoro è pane quotidiano. Una casistica già sentita. Ti presenti a chi sai che lavora da tempo, ti metti d’accordo sull’orario e della questione contrattuale manco a parlarne. Non contemplata affatto. E se provassi a chiedere informazioni in merito, la risposta è che “non conviene”. Costa troppo “au patrèun”. Oppure qualcuno corregge il tiro, affermanto che la regolarizzazione parte in seguito. Ma..in seguito, quando?

Se non dovesse essere così però, come alcuni dichiarano,  tutto diventa incredibile: le regole sarebbero nell’assenza di regole. Scansarsi i costi, recuperare manovalanza senza dichiararla, guadagnarci “ad ogni costo” e “speriamo che i controlli non arrivino”. Alcuni, messi in prova per testare le capacità, rischiano il giorno stesso di tornarsene a casa con la distrutta speranza di terminare un periodo forzato di disoccupazione per, magari, farsi più di una stagione da lì a seguire, nel campo dell’agricoltura. Magari mai conosciuto prima di allora. Gli effetti della crisi. Questo è. Il giorno in cui l’evasione fiscale smetterà di esserci, dicono, sarà la volta del ritorno alla tranquillità: per la scuola, la sanità, le politiche di sostegno sociale, per gli istituti bancari stessi. Ma i primi a regolarizzare il mercato, si sa, son quelli che il potere del denaro ce l’hanno (sebbene con tutti i costi immaginabili) e non certo chi "sbatte da una parte all’altra", accettando di adattarsi a qualsiasi lavoro,  solo per aver inseguito il diritto di vivere dignitosamente. La lotta all’evasione fiscale è un bene. E nel Sud, è evidente, c’è tanto da lavorare. Già solo per inculcare l’idea che evadere e non dichiarare ciò che si fa è come il reato di furto. Solo, con apparenti, differenti, sembianze.

Anna Ingravallo

 

*fonte foto: www.veengle.com