Cronaca
Giustizia sia fatta. Morosini al San Biagio
FORLI', 6 GIUGNO 2012 - In occasione della chiusura del mese della legalità, il 25 maggio 2012 presso il Centro Culturale San Biagio di Cesena, con la collaborazione di Libera e di Uniradio di Cesena, si è svolto l’incontro con il magistrato Piergiorgio Morosini per la presentazione del libro Attentato alla giustizia. Morosini è un magistrato romagnolo che prende servizio nel 1993. È giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Palermo e titolare di numerosi processi a Cosa Nostra. L’incontro è avvenuto nella Sala Rossa del Cinema, con un'ottima partecipazione dei ragazzi universitari presenti.
Perché un magistrato romagnolo decide di prendere servizio in Sicilia nel 1993?
Eravamo reduci dalle stragi del 1992 e del 1993. Pensavamo, nella nostra inesperienza iniziale, di dare il nostro piccolo contributo, di dare una mano ai colleghi che in quel momento stavano effettuando gli accertamenti per capire cosa c’era dietro alle stragi. Volevamo rispondere a quella sete di giustizia che si sentiva particolarmente forte in quel biennio. [MORE]
Pochi giorni fa abbiamo commemorato Giovanni Falcone, chi era per lei?
È stato un grandissimo magistrato per i risultati che ha ottenuto sul piano del contrasto a Cosa Nostra. Ha interpretato in maniera davvero moderna il suo ruolo. Ha inventato le indagini internazionali con la collaborazione dell’allora procuratore distrettuale di New York Rudolph Giuliani e con la collega svizzera Carla Del Ponte, che lo ha aiutato moltissimo nelle indagini bancarie rispetto quella che era la realtà delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Falcone è colui che progetta l’esistenza delle direzioni distrettuali antimafia della Procura Nazionale Antimafia, cioè di luoghi in cui si istituzionalizza il lavoro di equipe. Sosteneva che il compito del magistrato non fosse quello di essere una monade, ma di condividere le esperienze, confrontare il suo punto di vista con quello di altri, per arrivare a determinazioni più efficaci per il contrasto al crimine mafioso. Ha avuto il coraggio della coerenza e del rispetto di quelle che sono le regole della deontologia professionale; la sua intuizione è diventata legge. Ci ha lasciato la grande testimonianza della sua dignità e della grande forza di essere anche un uomo da solo in campo in molte circostanze; fu isolato per il coraggio delle sue idee, anche dai suoi stessi colleghi. È stato un uomo che ha perso tantissime volte, continuando a coltivare le sue idee, costi quel che costi, lezione ancora valida, soprattutto per i giovani d’oggi.
Perché è stato colpito Giovanni Falcone?
Ci sono stati processi che si sono conclusi con condanne pesantissime, soprattutto per gli esecutori materiali. Ci sono lacune, aspetti contraddittori che vanno a incidere profondamente sulla vita democratica dell’Italia. Possiamo ridurre il movente della strage di Capaci solo alla vendetta dei Corleonesi che, a causa del lavoro di Falcone, erano stati condannati al primo maxiprocesso a Cosa Nostra oppure a Capaci quel giorno è successo qualcosa di diverso? Sicuramente la strage di Capaci è legata a quella di Via D’Amelio, ci sono molti atti ufficiali che sembrano volerci dire cose ulteriori rispetto a quanto emerso, cioè la responsabilità dei Corleonesi. Tra il 1978 e il 1982, questi ultimi vincono la guerra di mafia contro le cosche palermitane con un esercito nettamente inferiore rispetto a quello palermitano, attraverso la complicità delle istituzioni e dell’imprenditoria. Perché hanno vinto? Capaci e Via D’Amelio non sono la prima pagina della vita italiana degli attentati compiuti da Cosa Nostra. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, sono avvenuti una serie di omicidi di matrice politico – mafiosa, da Pio La Torre a Rocco Chinnici, da Gaetano Costa a Carlo Alberto Dalla Chiesa. Capendo il perché di tutti questi omicidi, molto probabilmente si riesce a capire il perché della vittoria dei Corleonesi nella guerra di mafia.
Quale ruolo ha l’informazione in questo contesto?
L’informazione di oggi è monca, caricaturale, in alcuni casi infedele rispetto alla realtà e nociva per la collettività. Penso a quelle fiction televisive dove un boss come Riina viene presentato come un eroe. Le mafie, per sconfiggerle, bisogna conoscerle e farle conoscere. Occorre informare correttamente l’opinione pubblica nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie. È una battaglia culturale. La mafia è un sistema di potere e, come tutti i sistemi di potere, ha l’interesse di controllare il sistema sociale, ha addomesticato il potere. Bisogna tener conto che l’informazione non corretta su questo tema non incide solo su un dibattito pubblico, ma anche sul dibattito parlamentare.
Cos’è oggi la mafia? Perché è arrivata anche al Nord?
La mafia si è espansa anche in Emilia Romagna, più che armi e droga, si parla di evasione fiscale, estorsione e corruzione. La nostra Costituzione è, a tal proposito, inadeguata. Parlare di infiltrazioni al Centro – Nord non è corretto. Molti imprenditori al Nord chiedono alla mafia per avere prestazioni a costo più basso; vengono fatte richieste di finanziamenti in Romagna da soggetti poco raccomandabili che sono richiesti dall’imprenditoria locale. Anche diverse imprese che operano nel settore chimico si avvalgono dello smaltimento dei rifiuti di imprese della Camorra perché, con le loro prestazioni, abbattono il costo di 4/5 del valore del mercato. Si ricicla molto di più a Rimini che a Palermo, a Bologna che non a Reggio Calabria, Milano è la capitale finanziaria della ’Ndrangheta. Si deve aggiornare il sistema normativo italiano, così ampiamente deficitario sul piano della lotta alla corruzione della criminalità organizzata. La corruzione è uno di quegli strumenti attraverso cui operano le organizzazioni camorristiche, ‘ndranghetiste e mafiose nel Centro – Nord. La mafia ha la grande capacità di raccolta di consenso nelle competizioni elettorali attraverso un canale produttivo con conseguente mobilitazione; non ha un orientamento ideologico, “punta” su chi può aiutarla. Ci sono molte personalità politiche che hanno dato il loro aiuto alle mafie negli appalti pubblici, nell’individuazione di canali di riciclaggio e finanziamento e nell’aggiustamento di processi.
Il suo libro s’intitola “Attentato alla giustizia”, perché un titolo così negativo?
Il libro parla delle trattative che sono state fatte con la mafia, con gli imprenditori del Sud, ma anche del Nord; tratta delle organizzazioni che sono cresciute e che poi si sono espanse. Inizialmente il titolo doveva essere “Giustizia sia fatta”, poi, su consiglio dell’editore, ho deciso “Attentato alla giustizia”, titolo che richiama aspetti negativi delle mafie, ma vuole anche offrire una speranza per la battaglia a Cosa Nostra.
Cosa ne pensa dell’attentato di Brindisi?
Gli inquirenti stanno ancora indagando ed è prematuro arrivare a una conclusione. Penso, tuttavia, che colpire una scuola, considerata il simbolo della serenità e della sicurezza richiami logiche eversive. Forse l’artefice della strage vuole comunicare che l’Italia non è più sicura, neanche nelle scuole. Ci sono anche molte coincidenze che richiamano organizzazioni criminali: la scuola stessa, il cui nome è dedicato a Falcone e alla moglie, la carovana della legalità che sarebbe passata e la posizione dell’istituto scolastico situato vicino al tribunale.
La mafia riusciremo mai a sconfiggerla? Ha ancora fiducia in questo Paese?
L’Italia ha le radici giuste per sconfiggere questo fenomeno. Ho fiducia in questo Paese, in tutte quelle persone che hanno il coraggio di denunciare le richieste estorsive, in tutti quei giovani che s’impegnano nei beni confiscati alla mafia dimostrando che la vera risposta alle organizzazioni criminali sono il loro lavoro e il loro impegno. La mafia deve essere sconfitta per tutti quei colleghi che lavorano 18 ore al giorno con lo stesso obiettivo. La mafia è una questione nazionale e va sconfitta con le nostre risorse principali e con la nostra affezione ai diritti, grazie anche alla nostra coscienza.
Giovanni Falcone affermava: «La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e, come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni».
(foto da www.piolatorre.it)
Giulia Farneti