Cultura e Spettacolo
Giornata della Memoria: la Shoah tra storia e testimonianze
TRIESTE, 27 GENNAIO 2015 - A Berlino, non lontano dalla Porta di Brandeburgo, c’è un monumento chiamato Denkmal für die ermordeten Juden Europas, che tradotto vuol dire “Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa”. A prima vista si presenta come un insieme di pilastri grigi, di diversa altezza: quelli all’esterno sono bassi, quasi rasi al suolo ma, man mano che ci si avvicina al centro, diventano così grandi da coprire parte della visuale. Berlino ha scelto di collocare il Memoriale in pieno Centro, affinché tutti potessero guardare e ricordare.
Ricordare in ebraico è “zakhòr”, e indica l’azione del tramandare, del ripetere per non dimenticare. Per questo tra gli ebrei è consuetudine pronunciare ad alta voce i nomi dei morti, per fissarli per sempre nella memoria e custodirne l’identità. Alcuni studiosi ipotizzano che, se si pronunciassero di seguito tutti i nomi degli ebrei uccisi durante la Seconda Guerra mondiale, ci si impiegherebbero più di sei anni.
Il Giorno della Memoria, celebrato il 27 Gennaio di ogni anno, è anche per coloro dei quali nessuno tramanda più il nome: i dispersi, gli orfani, i dimenticati.
Era proprio il 27 gennaio del 1945 quando i russi entrarono per primi nel campo di concentramento di Auschwitz. Fino ad allora, nessuno aveva mai posato gli occhi sulla macchina di morte elaborata dai nazisti e nessuno ne avrebbe mai immaginato l’inquietante precisione.
Circa sei milioni di ebrei hanno perso la vita durante gli anni di Guerra. Non era passato molto tempo dai primi editti razziali, con cui erano stati tolti tutti i diritti agli ebrei, quando, nel1942, i gerarchi nazisti misero in atto quella che fu chiamata “Endlösung der Judenfrage”, la “Soluzione finale”. L’obiettivo era chiaro: nessun ebreo poteva restare in vita. Da quel momento i convogli trasportavano gli ebrei catturati e li portavano nei campi di lavoro (e più tardi, quando ormai la sconfitta della Germania era prossima, direttamente nei campi di sterminio) dove i prigionieri vivano in condizioni disumane, privati del nome, costretti a svolgere lavori forzati.
Nel saggio “La banalità del male”, pubblicato diversi anni dopo la Shoah, Hannah Arendt sostiene che l’Olocausto non sia nato dalla responsabilità di un solo uomo. Il genocidio è stato opera di tutti: di chi guidava i treni diretti ai campi, dell’operaio che realizzava, forse ignaro, le docce a gas. Tutti sono responsabili, e il male è passato attraverso le azioni più banali, come quella di realizzare il tessuto di colore giallo per la stella di David, da cucire sugli abiti degli ebrei, costretti a mostrarla in bella vista per essere identificati.
Nei campi di sterminio hanno perso la vita anche omosessuali, Rom e Sinti, disabili, dissidenti politici internati per un totale di circa sette milioni di vittime, ai quali si aggiungono i sei milioni di ebrei.
La Giornata della Memoria richiama la collettività a una duplice riflessione: dovere di memoria personale, affinché i nomi delle vittime non siano mai dimenticati e dovere di memoria storica, perché eventi disumani come la Shoah non vengano ripetuti o perfino negati da chi, ancora oggi, crede che non sia mai accaduto.[MORE]
Le testimonianze
Di fronte ad una catastrofe di simili proporzioni come quella della Shoah o di un qualunque altro eccidio del quale l’essere umano si sia mai macchiato nel corso della Storia, le singole vite rimangono travolte e cambiate per sempre. Dolore, angoscia, incredulità, rabbia e voglia che tutto l’orrore subito non accada più a nessuno.
Tra le tante testimonianze sulla Shoah, abbiamo selezionato quella Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace 1986, scrittore Statunitense nato in Romania nel 1928. Nel 1940 la sua città natale fu assegnata all’Ungheria, la quale diede il permesso ai Nazisti di deportare gli ebrei quattro anni più tardi.
Deportato ad Auschwitz, ne nel libro “La Notte”, del quale estrapoliamo uno stralcio che descrive il suo arrivo e la sua vita nel lager, scrive:
«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. ». (Elie Wiesel)
Nedo Fiani fu deportato nello stesso lager di Wiesel. Anche lui testimonia che l’esperienza del Lager non cambia solo i corpi ma anche gli spiriti. Come ha dichiarato in una conferenza del 2012, tenuta presso l’ITE Tosi di Busto Arsizio: “Non eravamo più quelli che eravamo saliti sul treno, il viaggio ci ha trasformati. Per chi ci ha vissuto, Auschwitz non è un luogo, è una sensazione. Il freddo mi entrava dentro e mi rosicchiava. Ero solo con me stesso. Colui che dimentica diventa complice degli assassini: una società come la nostra non deve trascurare il dolore e dimenticare il passato”.
Theodor Adorno, filosofo e musicologo tedesco, di origini ebraiche, pur non avendo vissuto direttamente l’orrore del lager, in "Gli Uomini ti guardano" individua ciò che secondo lui è la chiave per la nascita di un lager: “Le atrocità sollevano un’indignazione minore, quanto più le vittime sono dissimili dai normali lettori, quanto più sono "more", "sudice", dago. Questo fatto illumina le atrocità non meno che le reazioni degli spettatori. Forse lo schema sociale della percezione presso gli antisemiti è fatto in modo che essi non vedono gli ebrei come uomini. L'affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom”.
Attraverso la ricostruzione della Storia si comprende come l’intelligenza di un uomo, di un leader, un dittatore, male utilizzata, usata per seguire il potere, il delirio di onnipotenza che si insinua nel vortice del male, distrugge l’umanità, la devasta e non la redime. Se tutti sono responsabili di un eccidio e nessuno è l’unico artefice, allora è giusto sottolineare che tutto quanto è stato fatto non è frutto di una follia di un uomo solo, di un folle che vaneggia, ma di una decisione di un popolo, ferma e ben precisa, dalla quale anche l’Italia si lasciò senza sforzo travolgere.
(foto: www.ilblitzquotidiano.it)
Marco Guarnaccia, Sara Svolacchia