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GB: governo May ancora in piedi, il Parlamento britannico ha rinnovato la fiducia

LONDRA, 17 GENNAIO – Per soli 19 voti, la Camera dei Comuni del Parlamento britannico ha respinto la mozione di sfiducia presentata contro il governo May dopo la pesante sconfitta politica incassata da quest’ultimo martedì scorso, quando l’accordo negoziato con l’UE e presentato dall’esecutivo a Westminster era stato bocciato dalla stragrande maggioranza degli MPs (220 voti a sfavore, tra cui anche parecchi conservatori).

Dietro l’apparente schizofrenia e lunaticità dei Parlamentari britannici si cela in realtà la ben più complessa situazione politica nella quale si trovano tutti i cittadini del Regno Unito, confusi dalle prospettive e dalle eventuali conseguenze derivanti dall’uscita dall’Unione Europea, soprattutto in merito ai rapporti con gli Stati continentali ed alle eventuali ripercussioni interne. La portata della scelta non è indifferente e la cittadinanza si è spaccata – oltre che sulla Brexit in sé – anche sulle specifiche soluzioni prospettate dal governo May, frutto di delicatissime trattative con i negoziatori europei.

Per il momento, comunque, la maggioranza dei membri della Camera dei Comuni ha confermato di avere ancora fiducia nei Tories. Il dovere e l’onere di trovare una soluzione resteranno dunque sulle spalle del Primo Ministro Theresa May e dei suoi collaboratori, che tenteranno in primo luogo di percorrere la via più semplice, ovvero quella di incontrare rappresentanti dei gruppi parlamentari che non hanno approvato la bozza di accordo, sia per comprenderne le ragioni sia per tentare un compromesso politico che li convinca a cambiare opinione. In sostanza, si riproverà innanzitutto a far approvare il medesimo testo, eventualmente corredando la proposta di rassicurazioni ulteriori o concessioni interne ai gruppi di opposizione. È invece del tutto remota la possibilità che venga elaborato un piano completamente diverso ed alternativo per l’uscita dall’Unione – anche perché il Consiglio ha ribadito più volte di non avere alcuna intenzione di modificare i termini già definiti – nonostante all’inizio del mese la stessa Camera dei Comuni avesse approvato una mozione per chiedere al governo di lavorare proprio in tale direzione in caso di bocciatura della prima proposta.

Un’alternativa potrebbe essere quella di tenere un secondo referendum, eventualmente sottoponendo agli elettori non soltanto l’opzione di scelta generale (dentro o fuori), ma un quesito più specifico, magari con contenuti di merito – come proposto da molti sostenitori del “remain”, tra cui il Laburista Corbyn ed il leader degli Indipendentisti scozzesi Blackford. Secondo lo scenario costruito dai principali media britannici, tuttavia, una nuova consultazione popolare richiederebbe non meno di altre 22 settimane di attesa e dunque presupporrebbe una nuova proroga della procedura di recesso ex art. 50 TUE.

Chiaramente, inoltre, il Regno Unito potrebbe sempre tornare sui suoi passi e decidere autonomamente di rinunciare ed interrompere il processo di uscita dall’Unione. Come ormai noto, però, qualora l’attuale scadenza del 29 marzo non dovesse essere portata ancora più avanti, in assenza di accordo tra le parti per quella data è previsto che si verifichi il recesso unilaterale automatico del Regno Unito dall’UE, senza che tra i due ordinamenti intercorrano più rapporti istituzionali – al di là di quelli internazionali previgenti.


Francesco Gagliardi


Fonte immagine: journalmetro.com