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NAPOLI, 19 MARZO - Mentre frotte di critici si staranno sforzando di congegnare arguti giochi di parole sul freddo per commentare il film “Frozen” di Adam Green, il thriller/horror del regista statunitense si appresta a figurare tra i titoli d’inaugurazione della primavera cinematografica nelle sale italiane (dal 25 marzo), dopo i discreti apprezzamenti della stampa internazionale in seguito alla partecipazione al Sundance Festival.[MORE]
Il film, già uscito negli Stati Uniti in 150 copie, è il primo tra i titoli che la M2 Pictures - creata da Rudolph Gentile e Marco dell’Utri - distribuisce in Italia. Tra i prossimi troveremo “Lo schiaccianoci in 3D” e “Step Up 4ever 3D”, che a scriverlo sembra il taccuino di una battaglia navale. Non è una notazione di pura cronaca cinematografica, trattandosi, piuttosto, di un “dimmi cosa distribuisci e ti dirò chi sei”, o meglio, “che casa di distribuzione sei”. La risposta è: “la casa di distribuzione perfetta per Frozen”.
Adam Green è un regista piuttosto singolare, famoso per le nozze horror con i fichi secchi. Il primo film prodotto non era a low budget, ma a “budget del precario italiano medio”, ossia 400 dollari (prego operare autonomamente conversione in euro). “Coffee & donuts” – ed in effetti costava quanto caffè e ciambelle – è stato poi acquistato dalla Disney/Touchstone che lo ha sviluppato in una sit-com nel 2004. Sembrava l’inizio di un’inevitabile ma comunque fruttuosa gavetta, ed invece troviamo Green solo sei anni più tardi con l’horror “Hatchet”, repertorio, senza nemmeno il trucco rifatto, di effettacci slasher e splatter. Dopo l’interlocutorio “Spiral” (2007) ed una serie di corti, il regista torna con “Frozen”, con un trittico di giovani attori rodati tra serie tv e cinema un po’ facilone: Kevin Zegers (“L’alba dei morti viventi”, “Gossip Girls”), Shawn Ashmore (“X-men”, “Rovine”) ed Emma Bell (“Dollhouse”, “Supernatural”, “The Walking Dead”).
I protagonisti interpretano tre snowboardisti bloccati sulla seggiovia prima dell’ultima discesa. L’impianto riaprirà la settimana successiva, quanto basterebbe per una metamorfosi da turisti in “bastoncini del capitano”. Dovranno aguzzare l’ingegno, più velocemente di quanto i lupi, dabbasso, aguzzino i denti.
Se la misura di un’opera cinematografica va rapportata anche alle sue ambizioni, “Frozen” di Adam Green non può troppo facilmente essere liquidato come l’ennesimo survival horror buono a compiacere qualche amante del gore e qualche amante della propria amante impaurita che si stringe nel buio della sala. Considerando il predecessore “Hatchet”, non si può far a meno di osservare come il regista sia riuscito a limare, per sopravvenuta maturità, certe spigolosità di “genere” connesse soprattutto alla truculenza gratuita. Sia pure nell’alveo modesto dell’intrattenimento epidermico, “Frozen” palesa un accettabile controllo dei mezzi (scontata, ma opportunamente eseguita l’opzione della smunta fotografia dai colori freddi) ed un livello di tensione di buona costanza.
Guai a cercare – e qualcuno ci si è anche provato…– una forma anche lontana di “morale” o di tipizzazione sociologica, del tipo “l’assurdità delle decisioni umane in alcune situazioni estreme”: conta la situazione estrema, non la decisione. Qualche spettatore dovrà pertanto rassegnarsi a chiudere un occhio su certe forzature narrative di una certa improbabilità: è l’unico modo per non chiuderli entrambe, si chiama “sospensione dell’incredulità”.
ANTONIO MAIORINO