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Fratelli Taviani, l'Italia s'è desta al Festival di Berlino
BERLINO, 19 FEBBRAIO 2011 - Bisogna tornare indietro al 1991 per l’assegnazione dell’Orso d’Oro ad un regista italiano: quello a Marco Ferreri per “La casa del sorriso”. Ma ora, a 21 anni di distanza, il sorriso per la vittoria di Paolo e Vittorio Taviani non è poi così giustificato. Da un lato, è ancora una volta la vecchia leva, una classe di ferro inossidabile, più che una nuova lega, a tenere alta la bandiera del cinema di casa nostra, che in queste settimane si crogiola tra “Benvenuti al nord” e “Com’è bello far l’amore”. Dall’altro, la vittoria di un cinema non solo banalmente impegnato ma anche sperimentale è istruttiva sul coraggio di un’arte diventata troppo business, con il meccanismo del cane che si morde la coda: perché se abituassimo il nostro pubblico ad un gusto diverso, ci ritroveremmo con qualche film migliore in più e qualche cinepanettone in meno.
Il film vincitore, “Cesare deve morire”, è ambientato nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia, dove il regista Fabio Cavalli prova con i detenuti il “Giulio Cesare” di Shakespeare. Il dramma diventa a tutto tondo: con impietosità documentaristica, la macchina da presa si fa largo nei bracci del penitenziario e nell’angustia delle celle, filtrando un’atmosfera plumbea che si può ben capire come entri nelle viscere dei carcerati e li trasformi nei perfetti interpreti di Shakespeare.
Sarà stato pure un pubblico di “cinefili”, ma sempre pubblico è, ad assegnare a “Diaz, non pulire questo sangue” di Daniele Vicari il premio nella sezione Panorama accanto a "Parada" di Srdjan Dragojevic e al brasiliano "Xingu" di Cao Hamburger, film sull’inferno del G8 di Genova, mentre in quel di Sanremo, sempre terra ligure, ad una ex partecipante di “Amici” bastava mettere la parola “inferno” nel titolo della propria canzone per conquistare la solidarietà di milioni d’Italiani. Le denunce sono una cosa; le lacrime strappate – ed esibite – ne sono un'altra. Più o meno la differenza che passa tra armonia artistica ed Harmony. [MORE]
Lo dimostra il fatto che il Gran Premio della Giuria sia andato all’ungherese “Just the Wind”, opera che descrive con efficacia la cappa di paura che opprime una famiglia romena in terra magiara. Meritati i riconoscimenti alla miglior attrice ed al miglior attore, rispettivamente la giovane ragazza congolese Rachel Mwanza, presa dalla strada a mo’ di cinema del Neorealismo, e Mikkel Følsgaard, nei panni dello psichicamente disturbato re Christian di Danimarca di En Kongelige Affair, che si è guadagnato anche il premio per la miglior sceneggiatura. Più lungo della muraglia il cinese “White Deer Plain”, che si aggiudica il premio per la fotografia. All’originale “Tabù” del portoghese Miguel Gomes è invece andato il premio Alfred Bauer.
Due domande cattive in chiusura: 1) quanti di questi film vedremo in Italia? 2) Miglior regia a Christian Petzold per "Barbara". Era così bello o così tedesco?
Di seguito la ricapitolazione dei vincitori.
Orso d'oro: Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani
Gran premio della giuria: Just the Wind di Benedek Fliegauf
Orso d'argento per la miglior regia: Christian Petzold per Barbara
Orso d'argento per il miglior attore: Mikkel Følsgaard per En Kongelige Affair
Orso d'argento per la miglior attrice: Rachel Mwanza per Rebelle
Orso d'argento per la miglior sceneggiatura: Nikolaj Arcel e Rasmus Heisterberg per En Kongelige Affair
Orso d'argento per il contributo artistico: Lutz Reitemeier per White Deer Plain
Premio Alfred Bauer: Tabu di Miguel Gomes
Menzione speciale: L'enfant d'en haut di Ursula Meier
Miglior film d'esordio: Kauwboy di Boudewijn Koole
Panorama Audience Award al miglior film di finzione:
1. The Parade
2. Diaz - Non pulire questo sangue
3. Xingu
Panorama Audience Award al miglior documentario:
1. Marina Abramovic - The Artist is Present
2. Call Me Kuchu
3. La Vierge, les Coptes et Moi
Antonio Maiorino