Cronaca

Fortezza Europa, viaggio sull'invalicabile confine sud

Nel corso degli ultimi tempi, il continente europeo si è trasformato sempre più in una vera e proprio "Fortezza", chiusa verso chi tenta - emulando proprio gli europei di una manciata di decenni fa - di attraversare quel confine tra la povertà e la ricchezza, tra il cosiddetto terzo mondo e quel primo mondo che di questi è origine. E intanto - tra centri di identificazione, camere ad infrarossi e barconi - c'è chi ha trasformato i corpi migranti in un vero e proprio business.

Borders are the gallows of our collective national egos
I confini sono il patibolo del nostro collettivo egocentrismo nazionale
[“Borders are” - Serj Tankian]

ROMA, 9 OTTOBRE 2012 - La chiamano – non a torto - “Fortezza Europa”. Perché è esattamente questo che, dall'esterno, il continente europeo è diventato. Un'enorme, immensa fortezza – nella quale forte sta diventando il divario tra classe al potere e cittadini - che ha da tempo chiuso le proprie frontiere, le quali grazie agli accordi bilaterali vengono spostate sempre più a sud (tanto che in molti parlano ormai di una vera e propria “delocalizzazione” delle frontiere) instaurando delle zone intermedie, dei luoghi – come le città-satellite turche – che non appartengono di fatto né alla “fortezza” né all'esterno. Purgatori geopolitici dove vengono stoppati i migranti, il cui sogno di una vita migliore rappresenta il più grande pericolo per gli stati difesi dalla Fortezza: rompere quel modello di sostentamento basato sullo sfruttamento dei paesi limitrofi.[MORE]

Ad essere sotto i riflettori gli stati meridionali, ormai da anni gestori di una frontiera più socio-economica che geografica che dalle coste spagnole – enclavi marocchine incluse – e passando per i barconi di Lampedusa, simbolo di un nuovo “assalto alla Fortezza”, arriva fino alla Grecia ed alla Turchia, il cui “visto d'ingresso” per l'Europa politica verrà emanato anche in base al comportamento tenuto su aspetti come questo.

Gli stessi governi – in molti casi vere e proprie dittature – da cui i migranti scappano nella maggior parte dei casi, sono stati messi al potere dall'Occidente, dalle due “Fortezze” del primo mondo, cioè quella statunitense (che esporta guerre senza mai averne subita una sul proprio territorio, se non quella per la formazione o l'attacco dell'11 settembre) e quella europea, dove respingere i migranti alla frontiera significa respingere le cause – anch'esse perpetrate dall'Occidente – del divario tra Nord e Sud del mondo (povertà, guerre, sfruttamento, etc).

Per parlare della Frontiera Sud, baluardo politico più che geografico tra il Nord ed il Sud del mondo partiamo dall'Italia, la patria dei diritti umani dimenticati.

Joy ha 28 anni, arriva in Italia qualche anno fa dalla Nigeria con la promessa di un lavoro come parrucchiera e la certezza – rivelatasi solo successivamente – di essere finita nelle mani di quella immensa e disumana rete che traffica corpi da sfruttare sessualmente (per saperne di più, in particolare dal punto di vista di queste ragazze, vi invito a leggere “Le ragazze di Benin City”, di Laura Maragnani e Isoke Aikpitanyi), alla quale ripaga 35.000 dei 50.000 euro che i suoi trafficanti pretendevano per viaggio ed ingresso in Italia (detto in gergo debt bondage)

La doppia tagliola. Come se ciò non fosse già abbastanza, a Joy capita anche un'altra cosa: passare dalle mani di aguzzini illegali a quelle ben più linde ma non immacolate dello Stato, il quale – come vedremo – ha deciso che sulla pelle delle e dei migranti ci si possa speculare sopra. È proprio da qui che la storia nota di Joy inizia.
Quando entra in vigore il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, con l'incremento del periodo di reclusione nei Centri di Identificazione ed Espulsione che passa dai precedenti sei agli attuali 18 mesi la rivolta dei migranti rinchiusi esplode con scioperi della fame, materassi bruciati, atti di autolesionismo e tentativi di fuga. A Milano, nel lager di via Corelli, la rivolta porta all'arresto di 18 uomini e 5 donne, tra le quali Joy ed Hellen, sua compagna di cella, che diventeranno le protagoniste involontarie di questa storia. Joy, infatti, ha raccontato – anche in sede dibattimentale – di aver subito un tentativo di stupro durante le rivolte di agosto 2009. Il giudice decise però di chiudere il caso con un'assoluzione.
Aver avuto il coraggio di denunziare l'accadimento è costato a Joy ed alle altre ragazze una successiva deportazione in altri Centri di identificazione dopo sei mesi passati in carcere ed una denuncia per calunnia contro l'ispettore, con le «pressioni da parte della questura di Milano perché Joy venisse espulsa», come riporta un volantino redatto all'epoca da Noi non siamo complici – Donne contro i CIE. «L'espulsione di Joy», si legge nel documento «significa anche liberarsi di quella fastidiosa denuncia che porterebbe alla luce tutte le nefandezze che ogni giorno avvengono – con l'avallo e la complicità di polizia, Croce rossa e Misericordia – in questi moderni lager per immigrati chiamati Cie».

La vicenda si concluse, almeno per Joy, con l'uscita dal circuito Cie-carcere-Cie, ma solo grazie alla forte opera di contro-informazione fatta da associazioni e individui che, curandone vari aspetti, sono sensibili all'argomento. In quanto a Vittorio Addesso, il gup milanese che si occupava del caso – Simone Luerti – decise per l'assoluzione. D'altronde siamo pur sempre il paese che ha permesso ad un agente di polizia di portare delle bombe molotov in una scuola per spacciarle come “armi no-global”

Stando ai dati forniti dall'associazione Medici per i Diritti Umani sono i Centri di Identificazione ed Espulsione di Bologna, Roma e Torino ad ospitare le donne (rispettivamente quelli dell'Ex Caserma Chiarini, con 183 donne su 616 “ospiti”, di Ponte Galeria, con 611 donne su 1930 ospiti e quello di corso Brunelleschi, dove su 1018 ospiti 109 sono le donne).

Schiuma da...gabbia. A scriverlo è Raffaella Cosentino su Repubblica: secondo quanto denunciato con tanto di prove fotografiche da Medu, al Cie di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro gestito dal 1998 dalla cooperativa Malgrado Tutto è stata ideata una speciale gabbia dove i migranti sono costretti ad entrare per radersi, in quanto il centro non dispone del servizio barberia, presente invece in altri centri (nella foto).
Da qui la necessità che i migranti si radano da soli, a patto di essere ben visibili per evitare atti di autolesionismo (come i tanti casi di ingerimento) che questi praticano con le lamette. Per loro, dunque, non è prevista alcuna forma di privacy. Quei corpi in attesa di identificazione – e dunque di identità, di cittadinanza – servono solo alla grande macchina del “business del migrante”.

Benvenuti a Emergenzopoli. Il sistema italiano – iniziato nel 1998 con l'introduzione dei Centri di Permanenza Temporanea della legge Turco-Napolitano – riflette la più generale politica dell'improvvisazione, passando da una ”emergenza migranti” all'altra da ormai un decennio, con tutto ciò che ne consegue.

Nella maggior parte dei casi tale politica si traduce in respingimenti di massa, senza verifica alcuna se tra i migranti vi siano possibili richiedenti asilo, vittime di tratta, o altri soggetti vulnerabili, come invece vorrebbe la legislazione internazionale in vigore, basata proprio sul concetto del non-refoulement, cioè l'obbligo di non rimpatriare i rifugiati in situazioni in cui questi possano incontrare minacce alla vita o alla libertà – come i paesi coinvolti nelle cosiddette “rivolte arabe” - tanto che all'inizio dell'anno l'Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani, come nel caso Hirsi Jamaa vs Italy o il respingimento di 53 migranti tra i quali, stando al Consiglio Italiano per i Rifugiati – che però non ha prove concrete in merito - ci sarebbero stati alcuni Cristiani copti.

La politica dei respingimenti – dalla quale deriva il rinnovo degli accordi bilaterali con Egittoqualora rimpatriati i cittadini di questi paesi non corrano alcun rischio dopo essere stati rimpatriati, in una visione geopolitica che definire “miope” richiede un evidente sforzo di fantasia, laddove tale politica non è altro che la rappresentazione ideale dell'”assalto alla Fortezza (Europa) respinto”, così come rappresentato da media e politici xenofobi.

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(foto: repubblica.it)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]