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Festival di Roma, "Tir" di Alberto Fasulo: un'altra storia a km zero

FESTIVAL DI ROMA, IN CONCORSO: TIR DI ALBERTO FASULO, LA RECENSIONE. C'è un limite di velocità all'incontrario, cioè di lentezza, da superare, e chilometri minimi da percorrere, per qualcosa che voglia spacciarsi per "storia", ergo per film. Tir di Alberto Fasulo li infrange entrambe.  [MORE]

Quando alla fine di un film si arriva per inerzia, come trainati, a fatica, al rimorchio dello sguardo ostinato più che del desiderio, qualcosa non funziona nella storia. Tir di Alberto Fasulo sceglie deliberatamente di non funzionare. Sceglie di essere un road movie statico, in cui la strada è superficie, a volte a stento intravista dai vetri appannati del camion in piano sequenza. Sceglie di essere un movie senza storia, e dove non c'è storia non c'è movimento, e il movimento è l'essenza del cinema (kinema = movimento, dal greco). Sceglie di non essere nè documentario nè fiction, adagiandosi su un'intenzione che trascorre: quella di filmare alcune scene della vita di Branko (Branko Zavrsan), ex insegnante a Rijeka che si è messo a fare il camionista perchè guadagna tre volte di più, se non per una confusa velleità d'evasione, sbagliando sia quando filma per documentare - perchè se riprendi per due minuti la manovra di un camion in un autogrill, non c'è misura nè scelta di campo, ma riempimento - nè quando inventa - perchè inventa poco o nulla.

NON CREDO NELLA REINCARNAZIONE - Il Festival, come trionfo del cinema d'Autore, prova a salvare queste opere, e già spunteranno come cavoli recensioni in elogio d'un film che veicola una forte carica emotiva, che appare pregno di vissuti e che sa esplorare le suggestioni della strada - anche di vita - tra il rombo dei motori, le rifrazioni dell'asfalto e qualche altra poeteria di arditi azzeccagarbugli travestiti da Dante Alighieri. Ancora una volta, come per qualche altro film del Festival di Roma 2013 ed in generale per una porzione di cinema che si spaccia d'avanguardia, bisognerà semplicemente riconoscere una volta per tutte che il cinema e la vita sono cose diverse, che un film vissuto non è neccessariamente un buon film e che non c'è niente di male nel dire che un film in camion più lento di una tartaruga e col bromuro al posto della benzina è piatto, noioso e - se non fosse per il sacro rispetto nei confronti di chi decide, con impegno, di mettere in scena un'opera filmica - probabilmente inutile. Le sceneggiature non possono essere a chilometri zero, in pochissimi possono permettersi di far spuntare film dal nulla come fiori dall'asfalto. E' come aprire un sipario, da cui non si vede niente.

C'ERA UNA VOLTA LO SPETTATORE - Chi vede il cinema dalla parte dei registi, tende in genere ad improvvisare filippiche difensive. Un altro paio di maniche per chi di cinema intenda parlare senza dimenticarsi dello spettatore, ed in quanto spettatore a sua volta voglia ricordarsi dell'esperienza fisica del tener duro - ma perchè? - in una sala cinematografica. La dimostrazione è palmare. Che Fasulo abbia una propria sensibilità e coerenza stilistica, si evince dalla compattezza del prodotto, nonchè da dettagli pure ben congegnati, come la scena in cui Branko trasporta i maiali, ed il grufolare diventa assordante, la puzza di letame quasi trapassa lo schermo e punge nel naso così come sulla pelle, ormai adusa ai lavaggi improvvisati con una pompa, prende a solleticare sgradevolmente la sensazione che quella vita non porti da nessuna parte. Ha una potenza catartica, la doccia liberatoria, sulla strada, nella notte nera come pneumatici, dopo aver litigato al telefono con la moglie sull'impossibilità di sostenere quella vita di stenti, che nemmeno consente di lavarsi come si deve, e tutto questo, paradossalmente, perchè un salario eviti gli stenti: un pulirsi di dosso le scorie di una scornata e dei propri dubbi, più che il tanfo di sudore. Vedete, il gioco funziona benissimo. A parole sembra tutto bello.

Ma è alienazione nel cinema, o alienazione del cinema? Non basta galleggiare su di un'esistenza per fare un film. Le scene con i dialoghi telefonici non sono inserti da cui si possa ricavare l'elogio del fuori campo, la forza del cinema che mette in scena l'invisibile et similia, che lasciamo ai compilatori di dizionarietti: è sempre questione di misura, e la si passa quando la camera resta fissa per 10 minuti e ti sembra di ascoltare un radio-dramma meno interessante delle beghe del vicino di casa. Ci sarebbe, insomma, un limite di velocità all'incontrario da rispettare, per rendere credibile un modo di guardare le cose. Cinema verità, d'accordo, e fatto magari bene. Peccato, però, che il cinema sia nato per mentire.

GENERE: Documentario
REGIA: Alberto Fasulo
SCENEGGIATURA: Alberto Fasulo, Carlo Arciero, Enrico Vecchi, Branko Zavrsan
ATTORI:Branko Zavrsan
PRODUZIONE: Nefertiti Film, Focus Media, in collaborazione con Rai Cinema
DISTRIBUZIONE: Tucker Film
PAESE: Italia, Croazia 2013
FORMATO: Colore

Antonio Maiorino
Critico cinematografico e d'arte - on Twitter