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"Faster" non è lento, è The Rock
NAPOLI, 22 APRILE - Chi scrive questa recensione, non vedeva l’ora di proporre l’arguto gioco di parole – di celentaniana memoria – del titolo. L’articolo potrebbe pertanto finire qui, più velocemente di una fuoriserie sfrecciata, anche perché su “Faster” di George Tillman Jr. scrivere trattati di cinematografia sarebbe fuori luogo. Nell’epoca degli sdoganamenti à gogo, tuttavia, anche gli action movies più agguerriti sul versante dello “spara e fuggi” possono reclamare 5 minuti di gloria. E allora sarà il caso di diffonderci sull’ultima interpretazione del versatile Dwayne Johnson, meglio noto come “The Rock” per i trascorsi – agguerriti, anche quelli – nei principali brand del wrestling professionistico. Versatile è davvero l’espressione giusta, se nell’ultimo anno solare il nerboruto attore californiano è disinvoltamente passato dalla tutina di “fatina del dentino” della commedia “L’acchiappadenti” al ruolo di ex galeotto vendicatore spietato di “Faster”. E tra poco, oltre che “fast”, l’attore sarà anche “furious”, nel quinto capitolo della nota saga. [MORE]
“Faster”, intanto, è un revenge movie solido, che ad oggi è dire “senza pretese”. Per intenderci immediatamente, i film d’azione di una certa spettacolarità che negli ultimi tempi sono risultati piuttosto bislacchi, sono quelli che aggiungendo risvolti thriller cervellotici hanno finito per “farla fuori dal vaso”: per dirla con una citazione di santoriana memoria, e con questo completando il repertorio nazionalpopolare. Prendete “Giustizia privata” di Gary Gray, dove il “roccioso” di turno era Gerard Butler: il crimine paga, finché non diventa un teorema di matematica. Oppure “Salt” di Philipp Noyce, con Angelina Jolie: appassionante, fintantoché non sopravviene il dubbio che si stia vedendo una versione moderna di “Wonder Woman”. Perfino l’alto artigianato di Paul Haggis in “The Next Three Days” lascia a desiderare: non perché artigianato, bensì perché alto, anche troppo.
Metti, invece, un uomo che esce da galera. Un uomo, eh: non ne diciamo nemmeno il nome, tanto il regista lo chiama “Driver”. Parla poco, inturgidisce i muscoli e carica le pistole. Il suo obiettivo è far fuori, ad uno ad uno, i membri della banda che anni prima, a seguito di una rapina, hanno intascato il bottino, fatto fuori il fratello e sbattuto lui in gattabuia. Sulle tracce di Driver, un assassino di professione (toh… si chiama “Killer”) ed un poliziotto tossicodipendente prossimo alla pensione: “Cop”. In altre parole, tre personaggi in cerca d’autore. E quell’autore è George Tillman Jr, alle spalle i due biopic “Men of Honor” e “Notorious”, e tanta voglia di non raccontare più nulla di vero, sfrenandosi nel classicismo iperclassico dell’hard boiled cinematografico, con una trama che sembra uscita da qualche romanzo pulp di James Hadley Chase.
L’estetica, in effetti, è proprio quella; l’etica anche, col cattivo che si capisce, in fondo, essere un buono costretto dalle giungla della vita ad azzannare prima di essere azzannato. Con tanto di citazioni bibliche ed angle col reverendo predicatore. Non manca il colpo di scena finale, e per fortuna non è “fuori dal vaso”. La sceneggiatura evita i salti mortali all’indietro ed indovina la scelta di ridurre al lumicino le battute del protagonista. Certo, il duello al coltello nei bagni del Night Club tra Driver ed uno degli assassini del fratello non diventerà indimenticabile come le acrobazie di Viggo Mortensen nella sauna in “A History of Violence” di Cronenberg: ma d’altronde, chi voleva che lo fosse? “Faster” va consumato velocemente, e con buona pace degli appassionati, è diretto con sufficiente scaltrezza da non risultare indigesto.
ANTONIO MAIORINO