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Come aiutare chi è in difficoltà senza ferirlo? Senza essere invadenti? Risponde alla delicata domanda di Aldo don Giuseppe Carrabetta.
R. Accorgersi del fratello che è nel bisogno è grande grazia concessa dal Signore. Se vi è un dramma che oggi si consuma è dover constatare come gli uni viviamo a fianco agli altri senza avere percezione minima delle difficoltà che agitano le vite dei nostri fratelli. Sembra di assistere alla triste attualizzazione di quanto descrive il Vangelo di Luca quando riporta le parole di Gesù sul ricco epulone e il povero Lazzaro (cf. Lc 12,13-21). Una delle cose che amareggia di quel brano è l’indifferenza con la quale il ricco epulone vive a fianco a Lazzaro. Lui, che sarebbe stato la chiave del suo paradiso. I cani si accorgono delle sue ferite, ma non lui.
Tuttavia, quel brano rivela molto più profondamente la condizione dell’uomo. L’uomo senza la luce del Signore, vive ripiegato su se stesso, vive da cieco, vive da egoista. E pur godendo di molti beni non fa nulla per sollevare le ferite di chi gli vive a fianco.
Mentre l’atteggiamento da assumere dinanzi a quanto il Signore ci ha permesso di vedere è solo uno: nella misura delle proprie possibilità, donare soluzione a quel problema che il Signore ci ha fatto vedere. Come? Veniamo alla tua domanda.
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Dal Vangelo attingiamo anche le modalità da vivere nell’opera di misericordia. Nel Vangelo secondo Matteo ci viene insegnato in che modo possiamo aiutare il fratello nel bisogno: «Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Prestare attenzione alla sensibilità del fratello è la prima opera di carità. Un nostro gesto di aiuto che ci innalza presso gli uomini, ma umilia il ricevente, non è carità. Dunque, la forma della carità deve essere discretissima, delicata, amabile, se possibile, segreta, in modo da risultare a Dio gradita. Un bell’esempio potrà aiutarti a comprendere.
Si narra nei Promessi Sposi, al cap. XXIV, del buon sarto del villaggio, uomo di carità e di scienza, il quale aveva ricevuto in custodia Lucia liberata dal castello dell’Innominato. Ebbene, a tavola dinnanzi a un cappone, mentre si pranzava raccontando dell’omelia del Cardinale Borromeo che esortava a far parte dei propri beni superflui chi manca di quelli necessari, interrompe bruscamente la conversazione e manda una delle sue figlie ad una vedova con un po’ della pietanza che loro stavano gustando. E lo fa con queste parole: «Va qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera, ve’: che non paia che tu le faccia l’elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno».
Avere chiaro quali sono i principi che governano l’opera di misericordia, tuttavia, non basta. Per questo l’altro mio consiglio è quello di mettersi in preghiera. Colui che ti ha fatto vedere la necessità del fratello, se da te invocato, riuscirà a farti capire in che modo donare il tuo aiuto al fratello. Sempre in quel capitolo dei Promessi sposi, un po’ prima troverai un’altra stupenda frase del sarto del villaggio: «Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene». L’opera di carità è vero miracolo, dall’inizio alla fine.
Non ci resta pertanto che invocare lo Spirito Santo, perché sia lui a donarti le forme storiche per attuare l’opera di carità senza tradire i principi che la governano. Spero di aver risposto alla tua domanda.
Don Giuseppe Carrabetta
Si ricorda che ognuno può porre i propri dubbi, i propri interrogativi scrivendo al seguente indirizzo di posta elettronica [email protected] . Si cercherà di fornire a tutti una risposta.