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Faito Doc Festival, Vers la tendresse di Alice Diop: l'amour è un tabù

Al Faito Doc Festival, la regista Alice Diop presenta il documentario col quale ha vinto il premio César, Vers la tendresse, in cui giovani francesi parlano d'amore e donne, tra esibita virilità ed inconfessate debolezze.

Per la serie, io non so parlar d'amore: l’amore sarà pure una cosa meravigliosa, ma non lo si può dire ad alta voce. Alice Diop, regista francese nata da genitori senegalesi, ne parla – meglio, ne sussurra con quattro giovani, nella periferia di qualche città transalpina. Per far brillare il loro universo emotivo, c’è bisogno di attraversare tutta l’oscura galassia degli stereotipi misogini, del disincanto più nero delle banlieu di notte. Tra proclami machisti, anche brutali, e la frustrazione di ragazzi che sembrano vedere nell’altro sesso null’altro che una fonte di piacere e frustrazione, s’affaccia infine la fragilità, il bisogno della confessione, un sentimental mood abitualmente occultato dietro la corazza di slang, cuffie, cappellino e vita da branco: tutti quei rituali urbani che la macchina da presa va a catturare nei suburbi.

Tra questi, ne spicca uno, in realtà extra-urbano: il pellegrinaggio a Bruxelles, nel quartiere a luci rosse, dove le vetrine si popolano dei corpi evanescenti ed invitanti delle donne, come avvolti dall’aura di un possesso impossibile. Col dilungarsi dei piani sequenza, sembra di camminare su quei marciapiedi, a fianco dei giovanotti che cercano l’amore a buon prezzo e torneranno timidi il lunedì in città. L’apice della suggestione, quasi la fine primo tempo di Vers la tendresse, è la visione insistita di una statuaria prostituta di colore (in realtà, nella vita fa tutt’altro: Alice Diop l’ha incontrata in un bar e ne è rimasta rapita, proponendole l’intensa particina). Irraggiungibile e possente dietro la vetrina, la donna riempie del proprio la rue deserta ed il campo cinematografico, costringendo quasi per emanazione uno dei ragazzi a fermarsi: come un pellegrino davanti all’edicoletta di una Vergine al neon. [MORE]

E da lì, verso la tenerezza, appunto, le interviste scelgono target e toni diversi: un giovane di colore che ha avuto relazioni omosessuali – “consentite” dal gruppo, entro certe regole – ed una coppia che trascorre qualche giorno in albergo, perché l’amore è un tabù a casa dei genitori. I due - sì, anche l'uomo - si concedono al racconto documentario in tutte le effusioni e dichiarazioni, senza le remore degli altri intervistati. Una liberazione, praticamente: al punto che può partire come soundtrack Il Cantico dei Cantici, inno all'amore per antonomasia, rigorosamente in salsa dub. Perchè forse il problema è questo: trovare solo la forma giusta per esprimere un sentimento.

Questo l’excursus di Vers la tendresse, ed il binario è doppio: da un lato le voci registrate, i colloqui allo stesso tempo intimi e spersonalizzati che paiono venire da un vecchio dittafono; dall’altro le immagini di vita quotidiana, nei quartieri, sui bus e nelle camere, tecnicamente slegate dalle voci fuori campo. Così quest’ultime, pur personalissime, diventano voci universali, in grado di comunicare la bellezza e la speranza dietro il tabù e l’apparenza.

(immagini: in alto, dettaglio d'un fotogramma di Vers la tendresse; all'interno: un fotogramma completo)

Antonio Maiorino