Cultura e Spettacolo

"Faber in Sardegna", tributo a De Andrè nel suo angolo di paradiso in terra

CATANZARO, 28 MAGGIO 2015 - Raccontateci altre dieci, cento, mille volte di Faber, ne sentiamo terribilmente il bisogno. Raccontateci del suo essere poeta dei sognatori ma non divo. Raccontateci di come ogni parola poteva trasformarsi in suono, perché Faber avrebbe potuto cantare ogni cosa e non l’avrebbe mai resa banale. Raccontateci, ancora, come essere un uomo dai sani valori alla fine ti rende speciale, perché voi che avete conosciuto Faber avete l’onore di poterlo fare. E diremo ancora grazie al regista, come faremo ora nei confronti di Gianfranco Cabiddu, e grazie a Dori Ghezzi, Renzo Piano, Don Salvatore Vico e a tutti coloro che sono intervenuti nel lungometraggio dedicato all’idea di raccontare la speciale complicità fra la Sardegna ed uno dei suoi amanti che più ne ha apprezzato le virtù, Fabrizio De Andrè.

[MORE]Di Faber il regista è riuscito a cogliere il lato celato di quella figura così apparentemente spigolosa: la semplicità. Fabrizio De Andrè era semplicemente Fabrizio De Andrè, con le sue passioni e la meticolosa ricerca del personalissimo angolo di paradiso in terra. Spazio che era riuscito a trovare nella terra selvaggia e pura per eccellenza, la Sardegna, e non poteva essere altrimenti: quel legame fra Faber e l’isola sembra trasparire quasi come naturale, talmente simili nella loro integrità e nella loro singolare identità. Non c’è ostilità nei paesaggi impervi sardi così come nel carattere introverso del cantautore, sebbene le variegate sfaccettature rendano all'inizio difficile la comprensione degli uni e dell’altro: i cuori più difficili da scardinare sono quelli che riservano l’amore più casto e puro. La Sardegna ha così abbracciato Faber e Faber ha amato la Sardegna, raccogliendo i regali che quella terra gli donò: vita semplice senza le assurdità mondane, mai veramente digerite dal cantautore genovese (Amico Fragile ne è l’esempio), e storie di ordinaria sopravvivenza contadina che diventarono l’ispirazione di un De Andrè che pensava d’aver detto tutto, dirà Dori Ghezzi nel film, ma che, invece, dirà ancora molto. Una simbiosi che neppure il sequestro riuscì a spezzare, mostrando la personalità non banale di un ostaggio che riuscì a perdonare i suoi carcerieri, ma che rafforzò la determinazione nell’essere parte di quel popolo così apparentemente chiuso ma così splendidamente accogliente. Ascoltarlo nel suo ultimo concerto, poi, è un tuffo emozionale per chi De Andrè non l’ha mai potuto vivere dal vivo. Ci acconteremo di vederlo sul grande schermo, per assistere a quelle melodiche poesie dalla platea: per qualche minuto assaporemo anche noi il gusto d’esser come il pubblico del Brancaccio di Roma.

Se non ci fosse Faber. Ma Faber, per fortuna, c’è: è il libro di poesie da cui trarre il nome per ogni nuova ed inespressa sensazione. “Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”, scriveva in Un matto. Ecco, Fabrizio De Andrè ha dato voce al personalissimo mondo di ognuno, ha regalato parole buone per ogni momento della lunga avventura, come una voce narrante di emozioni e di spiriti liberi. Faber dà forza quando canta della pioggia sottile che passa come passa il dolore. Faber invita alla compassione se ricorda che nella pietà che non cede al rancore ha imparato l’amore. Faber, sicuro delle sue poche idee ma in compenso fisse, come amava dire, bacchetta uno Stato che si indigna ma che getta la spugna. Testi potenti, ancora attuali nonostante gli anni passati, capaci di entrare nelle pieghe più intime dell’animo, con delicatezza. E con altrettanta fermezza richiamare alla responsabilità ognuno, la sua smisurata preghiera per chi non accetta gli schemi e vive sé stesso: il miglior amico di chi viaggia in direzione ostinata e contraria.


Salvatore Remorgida